ERARIO PREVALE SUI CREDITORI PRIVATI IN CASO DI SEQUESTRO PER REATI TRIBUTARI

di Lorena Puccetti

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Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato tributario fa prevalere l’erario rispetto a tutti i creditori della procedura concorsuale

Con la pronuncia 22.6.2022, n. 40797, depositata il 6.10.2023, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ha chiarito che l’avvio della procedura fallimentare «non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari».

In base al principio di diritto affermato, il sequestro preventivo preordinato alla confisca del profitto dei reati tributari, ai sensi dell’12-bis del d.lgs 74/2000, può essere eseguito sui beni compresi nell’attivo fallimentare indipendentemente dal fatto che il provvedimento preceda o segua l’apertura della procedura concorsuale. La pronuncia ha quindi stabilito la prevalenza del sequestro finalizzato alla confisca sulla procedura concorsuale, risolvendo una controversa questione che si è posta a lungo a causa del perdurante vuoto normativo in materia.   

Tale vuoto è stato colmato dal Codice della crisi d’impresa, che con gli artt. 317 ss. ha dettato una disciplina organica volta a regolamentare il rapporto tra le misure cautelari reali e la procedura di liquidazione giudiziale. In particolare, l’art. 317 sancisce il principio della prevalenza del sequestro preventivo strumentale alla confisca disposto ai sensi dell’art. 321, 2 comma, c.p.p., nel quale è compreso anche il provvedimento preordinato alla confisca tributaria di cui al citato art. 12-bis. Si precisa, altresì, che l’art. 317 si premura di dettare le condizioni in base alle quali i diritti dei crediti dei terzi possono trovare tutela a fronte di un provvedimento di confisca, o di sequestro ad essa finalizzato, mediante il rinvio alle disposizioni del d.lgs. 159/2011. In base a tale rinvio, il ceto creditorio potrà trovare soddisfazione secondo le regole del Codice antimafia, le quali sono fondamentalmente ispirate a tutelare, sia pure parzialmente, solo i creditori in buona fede muniti di un titolo cronologicamente anteriore rispetto al sequestro. Per inciso, il C.c.i. ha uniformato la disciplina di tutti i sequestri preventivi a fini di confisca, inserendosi nel solco di una tendenza legislativa sempre più orientata ad erigere a paradigma normativo le disposizioni speciali in materia di prevenzione contenute nel citato decreto n. 159.

Il curatore non può disporre dei beni oggetto di sequestro

All’esito dell’intervento legislativo, la chiave interpretativa fornita dalla pronuncia a S.U. n. 40797 riguarda soltanto le procedure concorsuali già pendenti al 15 luglio 2022, data di entrata in vigore del C.c.i., le quali  in base alla norma transitoria di cui all’art. 390 sono definite secondo le disposizioni della legge fallimentare.

Ciò premesso, sono essenzialmente due le argomentazioni che la motivazione della pronuncia ha posto a fondamento della soluzione adottata. In primo luogo, si è sottolineato che milita a favore del primato della misura cautelare reale la natura obbligatoria della confisca, diretta o per equivalente, prevista dall’art. 12-bis, 1 comma, alla cui salvaguardia è preordinato il sequestro. Inoltre, la sentenza si è soffermata sugli effetti derivanti dall’apertura della procedura concorsuale chiarendo che il cosiddetto spossessamento non si traduce nella perdita della proprietà in capo al fallito ma si risolve in un vincolo di destinazione dei beni a garanzia dei creditori. Ne deriva che, rimanendo il fallito titolare dei beni sino al momento della vendita o dell’assegnazione ai creditori, il curatore deve considerarsi un mero detentore. Proprio per il fatto che l’imprenditore ne conserva la titolarità, i beni appresi alla procedura concorsuale non possono considerarsi “beni appartenenti a persona estranea al reato”. In tal modo, viene superato il riferimento alla appartenenza dei beni a “persona estranea al reato” che, in base al dato testuale dell’art. 12-bis, comma 1, costituisce l’unico ostacolo alla possibilità di dare luogo alla confisca.

È evidente che l’ammissibilità del sequestro finalizzato alla confisca anche sui beni dell’attivo fallimentare finisce per attribuire prevalenza alle pretese erariali, conseguenti al mancato adempimento dell’obbligazione tributaria, rispetto a quelle dei creditori che si sono insinuati nel fallimento. Tale preferenza rischia di gravare ancora di più sul ceto creditorio in ragione di quell’orientamento giurisprudenziale in base al quale la confisca di denaro deve essere sempre qualificata come diretta anche se ne è provata la provenienza lecita.

Al riguardo, va ricordato che il riconoscimento della natura diretta della confisca di denaro è dovuto alle due note pronunce a Sezioni Unite, Cass. Pen. 30.1.2014 n. 10561, Gubert, e Cass. Pen. 26.6.2015 n. 31617, Lucci. In tali pronunce, in estrema sintesi, si era sottolineato che per la sua fungibilità il denaro acquisito illecitamente al patrimonio si confonde con le altre somme con la conseguenza che, una volta reperito fra le sostanze del reo l’ammontare di denaro corrispondente al profitto del reato, diventa superflua la prova dello specifico nesso di derivazione da tale reato. In pratica, nelle due citate pronunce, argomentando che la natura fungibile del denaro rende difficile distinguere le somme lecite da quelle illecite, si era affermato il principio per il quale il denaro rinvenuto nel patrimonio del reo deve considerarsi profitto derivante dal reato sulla base di una presunzione relativa suscettibile di prova contraria. Successivamente, è intervenuta un’ulteriore pronuncia a Sezioni Unite, Cass. Pen. 27.5.2021, n. 42415, Coppola, in base alla quale deve considerarsi indifferente l’identità fisica dei beni numerari oggetto di ablazione rispetto a quelli che sono stati materialmente conseguiti in modo illecito posto che, come ricordato nella motivazione, «la confisca diretta insegue non le banconote, ma la somma di denaro quale entità che incrementa il patrimonio del reo».

Questa pronuncia in modo più radicale rispetto alle precedenti ha stabilito che, laddove sia raggiunta la prova che la commissione del reato ha determinato un accrescimento monetario nel patrimonio del reo, la confisca del denaro deve considerarsi sempre diretta «e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto di ablazione». Quale logico corollario di tale principio, ne deriva che il sequestro finalizzato alla confisca del denaro «genera in ogni caso un vincolo permanente di valore sulle consistenze pecuniarie anche future del soggetto ad esso sottoposto» (Cass. Pen. Sez. II, 23.2.2023, n. 25275).  

È intuitivo che tale approdo giurisprudenziale può portare a conseguenze irragionevoli soprattutto con riferimento ai reati tributari il cui profitto è costituito da un risparmio di spesa. Al riguardo, va dato atto che secondo un indirizzo minoritario il principio affermato dalle S.U. n. 42415/21 non si attaglia ai reati tributari posto che tali illeciti non determinerebbero un incremento nel patrimonio del reo bensì una mancata decurtazione dovuta all’omesso pagamento dell’imposta (Cass. Pen., Sez. III, 4.2.2022, n. 11086). Tuttavia, secondo l’orientamento prevalente, la citata S.U. deve ritenersi applicabile anche ai reati tributari poiché «l’accrescimento patrimoniale e il mancato decremento delle risorse monetarie nella disponibilità del soggetto rappresentano concetti equivalenti» la cui unità di misura è sostanzialmente il denaro (Cass. Pen. Sez. III, 2.2.2022 n. 11630).

In definitiva, da un lato l’apertura della procedura fallimentare non impedisce il sequestro dei beni acquisiti al fallimento e al contempo in presenza di reati tributari il denaro rinvenuto nel patrimonio deve sempre considerarsi profitto suscettibile di confisca diretta.

Da tali premesse ne consegue che, se sussistono debiti fiscali derivanti da reato, la confisca di somme di denaro presenti sui conti correnti di una società che ha tratto profitto dalla commissione di un reato tributario, dovrà sempre considerarsi come confisca diretta anche se si tratta di rimesse di origine lecita pervenute dopo la commissione del reato (Cass. Sez. III, 20.9.2022 n. 42616). In base a questa impostazione, si considera oggetto di confisca diretta persino il saldo attivo del conto corrente intestato alla Curatela nel quale sono confluiti anche i proventi derivanti dall’azione recuperatoria del curatore (Cass. Pen. 3.11.2022, n. 5255). 

L'Erario avrà la prelazione sui creditori in caso di vendita

In pratica, in caso di debiti fiscali derivanti da reati tributari, le pretese erariali a garanzia delle quali è stato disposto il provvedimento di sequestro ai fini della confisca prevalgono a scapito di quelle degli altri creditori. Del resto, come precisato nella motivazione della pronuncia a S.U. n. 40797/23 «l’interesse dell’Erario al recupero di quanto evaso giustifica anche il sacrificio dei creditori privati».

Va da sé che, in pendenza di un procedimento penale per reati tributari, il curatore che non paga i debiti fiscali rischia di vedersi sottrarre anche l’attivo fallimentare acquisito attraverso la propria attività.     


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