LA CASSAZIONE DELIMITA IL PERIMETRO DEL “SOFT SPAM”

di Marco Martorana

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Con la sentenza n. 7555 del 15 marzo 2023 la Seconda Sezione Civile della Cassazione ha fornito un importante chiarimento sull’ambito di applicazione del c.d. “soft spam” e, di conseguenza, sui casi in cui è possibile inviare e-mail di marketing senza dover chiedere il consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali.

La questione prende le mosse da una sanzione del Garante per la protezione dei dati personali nei confronti di una società per violazione dell’art. 162 comma 2 bis del D. Lgs. 196/2003 (“Codice Privacy”) per via di comunicazioni commerciali che questa aveva inviato agli utenti del proprio sito internet, che si registravano per ottenere una prova gratuita del servizio.

La società riteneva infatti applicabile l’eccezione prevista dal comma 4 dell’art. 130 del Codice Privacy, che consente l’invio di e-mail di marketing senza preventivo consenso dell’utente quando questo abbia fornito le proprie coordinate di posta elettronica nel contesto della vendita di un prodotto o servizio del titolare; secondo la società, nel perimetro di questa norma rientrerebbero anche i casi dei “clienti non paganti”, che si sono registrati per ottenere una prova gratuita del servizio, senza poi effettuare l’acquisto.

La società ha quindi fatto opposizione contro l’ordinanza ingiunzione del Garante Privacy, che è stata rigettata dal Tribunale di Trani, che non ha ritenuto applicabile l’art. 130 comma 4 a questo caso specifico. Sulla questione si è poi pronunciata la Cassazione, che ha sostanzialmente confermato la posizione del Garante e del Tribunale di Trani.

La Suprema Corte ha ricordato i presupposti di applicabilità del comma 4 dell’art. 130, che consente di inviare e-mail commerciali senza dover chiedere il preventivo consenso all’interessato al verificarsi di condizioni ben specifiche e cumulative: le coordinate di posta elettronica devono essere state raccolte dal titolare nel contesto della vendita di un suo prodotto o servizio all’interessato, che deve essere stato adeguatamente informato della possibilità di ricevere poi comunicazioni commerciali e della sua facoltà (concretamente garantita dal titolare) di opporsi all’invio dei suddetti messaggi; inoltre, le e-mail di marketing devono riguardare prodotti o servizi analoghi a quelli acquistati dall’interessato (ad es.: se il prodotto acquistato era un software, la comunicazione commerciale successiva non può riguardare capi di abbigliamento).

Il nodo della questione riguardava il concetto di “vendita” (iniziale) del prodotto o servizio.

La Cassazione afferma che questo termine nella norma è “evidentemente usato in senso tecnico”: tra il titolare e l’interessato doveva essere stato stabilito un rapporto contrattuale a titolo oneroso.

Nel caso specifico oggetto della decisione, invece, le coordinate di posta elettronica degli interessati erano state raccolte dalla società (titolare del trattamento di tali dati) senza che tra questa e i primi fosse stato concluso alcun contratto di vendita.

Il fatto che gli utenti si fossero registrati per ottenere una prova gratuita del servizio, quindi, non era da solo sufficiente a consentire l’applicazione dell’eccezione contenuta nel comma 4 dell’art. 130 del Codice Privacy.


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