CONFISCA DI BENI DOPO ASSOLUZIONE PENALE: UN'ANALISI DELLA RECENTE PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

di Lorena Puccetti

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Una recente pronuncia della Corte di Cassazione afferma che, pur a fronte di una sentenza di assoluzione dell’imputato in sede penale, il giudice della prevenzione può mantenere la confisca dei beni (Cass. Pen., Sez. I, 17.5.2023 n. 36878 depositata il 6.9.2023).

Tale questione, che rappresenta uno dei principali nodi problematici del sistema delle misure di prevenzione, è ora giunta al vaglio della Corte EDU. La vicenda esaminata dalla Corte Suprema che, come si vedrà, è analoga a quella portata all’attenzione della Corte EDU, impone una attenta riflessione sulla compatibilità tra un giudizio assolutorio e la confisca di prevenzione.    

La Persistenza della Confisca Dopo l'Assoluzione Penale

In estrema sintesi, il giudizio di legittimità in esame riguarda un caso in cui era stata fatta istanza di revoca di un decreto di confisca ormai definitivo, nei confronti di soggetto sottoposto a processo per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis c.p. La richiesta di revoca, promossa dagli eredi, argomentava che la successiva assoluzione dell’imputato per insussistenza di quel medesimo fatto storico posto a fondamento della confisca, non poteva che determinare l’invalidità genetica di detta misura.

L'Annullamento del Decreto: "La Decisione della Corte di Cassazione"

Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso il provvedimento con cui la Corte d’Appello aveva confermato il rigetto dell’istanza da parte del Tribunale, la Corte di Cassazione ha provveduto ad annullare con rinvio l’impugnato decreto.

L’annullamento è stato determinato a causa di una lacuna motivazionale dovuta al fatto che, essendo la pronuncia di assoluzione relativa a quegli stessi fatti sui quali poggiava anche la confisca, il Giudice della prevenzione avrebbe dovuto provvedere ad un «ragionato confronto» con la motivazione assolutoria del giudice penale.

La Distinzione Tra Giudizio Penale e Giudizio di Prevenzione

In buona sostanza, la pronuncia di legittimità si inserisce nel solco di un consolidato orientamento in base al quale il giudice della prevenzione non è vincolato dalla sentenza assolutoria del giudice penale purché dia adeguatamente conto degli elementi che giustificano comunque i presupposti della confisca.

Per comprendere il problema sotteso alla decisione richiamata occorre rammentare che l’azione di prevenzione si fonda sulla valutazione della pericolosità, generica o qualificata, del soggetto destinatario della misura come tipizzata rispettivamente dagli artt. 1 e dall’art. 4 del d.lgs. 159/2011, ovvero il cosiddetto Codice antimafia.

Va precisato che, secondo l’art. 29 del d.lgs. citato, l’azione di prevenzione può essere iniziata anche indipendentemente dall’esercizio di quella penale. Tale norma, che si limita ad enunciare che il giudice della prevenzione può esercitare la propria azione non solo contemporaneamente ma anche indipendentemente da quella penale, nell’elaborazione giurisprudenziale rappresenta il fondamento normativo del cosiddetto principio di autonomia del giudice della prevenzione. 

Peraltro, in base all’art. 1 lett. b), nella categoria soggettiva della pericolosità generica viene inquadrato il soggetto che vive abitualmente con i proventi di «attività delittuose». Parimenti, con riferimento alla pericolosità qualificata, l’art. 4 fra i destinatari della misura di prevenzione contempla i soggetti indiziati di un novero di reati elencati nella norma stessa.

L'Applicazione della Misura ai Soggetti Indiziati di Appartenere alle Associazioni Mafiose

È evidente che si pone il problema se l’assoluzione nel merito in sede penale, in relazione ai fatti posti a fondamento della misura di prevenzione, vincoli o meno la valutazione del giudice della prevenzione. Al riguardo, secondo un consolidato orientamento, «il procedimento di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale, perché nel primo si giudicano condotte complessive, ma significative della pericolosità sociale, nel secondo si giudicano singoli fatti da rapportare a tipici modelli di antigiuridicità» (Cass. Pen. Sez. II, 25.1.2023 n. 15704)».

Ne consegue che, in questa diversa prospettiva, il giudice della prevenzione può valorizzare elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali senza essere condizionato dalle conclusioni alle quali è giunto il giudice penale. In altri termini, quegli stessi fatti che non sono stati sufficienti a giustificare una sentenza di condanna possono comunque essere posti dal giudice della prevenzione alla base del giudizio di pericolosità e dunque della misura preventiva.

Tale autonomia può portare, nelle diverse fasi del giudizio, a decisioni del giudice penale e di quello della prevenzione che sono in antitesi fra loro. Parimenti, può verificarsi un contrasto di giudicati cui l’istituto della revocazione della confisca di cui all’art. 28 del d.lgs. 159/2011 può rimediare solo in ipotesi residuali. Segnatamente, la lett. b) del predetto art. 28, prevede la richiesta di revocazione quando «i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca».

Secondo l’orientamento della giurisprudenza è possibile mantenere la misura di prevenzione laddove «il segmento fattuale azzerato dal diverso esito del giudizio penale si inserisca come ingrediente fattuale solo concorrente o minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale, o dove il giudizio di prevenzione si basi su elementi cognitivi realmente autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale» (Cass. Pen., Sez. I, 1.2.2018 n. 24707).  Va da sé che tale lettura rende possibile la coesistenza di giudicati, del giudice penale e di quello della prevenzione, che sono ontologicamente inconciliabili fra loro.

Peraltro, l’esigenza di contemperare il principio di autonomia con quello di non contraddizione dell’ordinamento, sta portando ad una sempre più attenta riflessione sulla necessità di porre dei limiti alla discrezionalità del giudice della prevenzione. È espressione di tale esigenza una pronuncia che, argomentando in ordine alla maggiore affidabilità della decisione del giudice penale, richiede al giudice della prevenzione di confrontarsi adeguatamente anche con il provvedimento di archiviazione (Cass. Pen., Sez. I, 26.10.2022 n. 4489). Si inserisce sempre nella medesima prospettiva, una pronuncia la quale ha precisato che, a fronte di una sentenza di condanna a pena sospesa, il giudizio di pericolosità generica deve essere desunto da «dati fattuali concreti» (Cass. Pen., Sez. VI, 5.4.2023 n. 19997).

L’interferenza tra la cognizione del giudice della prevenzione e quella del giudice penale appare particolarmente problematica con riferimento all’ipotesi di pericolosità qualificata relativa ai soggetti indicati dall’art. 4 lett. a) «indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416 bis c.p.». Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (S.U., 30.11.2017 n. 111), esplicitamente richiamato anche dalla pronuncia n. 36878 in commento, «il concetto di appartenenza, evocato dalla norma, è più ampio di quello di partecipazione, con il conseguente rilievo attribuito in tema di misure di prevenzione a condotte che non integrano neppure in ipotesi di accusa la presenza del vincolo stabile tra il proposto e la compagine, ma rivelano una attività di collaborazione anche non continuativa». In pratica, “l’appartenenza” all’associazione mafiosa che giustifica la misura di prevenzione ricomprende tutte quelle condotte, anche isolate, che sebbene non riconducibili alla vera e propria partecipazione, appaiono comunque funzionali agli scopi associativi del sodalizio.

È evidente che tale definizione di appartenenza, palesemente priva dei requisiti di precisione e determinatezza, consente al giudice della prevenzione di affermare la pericolosità sociale anche di chi sia stato assolto nel merito dall’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa. Come si è già precisato, l’assoluzione in sede penale impone al giudice della prevenzione di motivare il giudizio di pericolosità in modo particolarmente preciso e puntuale. Tuttavia, resta il fatto che un imputato, assolto definitivamente dopo anni dal reato di cui all’art. 416 bis, si può veder respingere la richiesta di restituzione dei beni che sono stati oggetto della confisca nel parallelo procedimento di prevenzione così come può essere destinatario ex novo della misura ablativa.

La Decisione della Corte EDU: "La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e i Dubbi Sulla Confisca di Prevenzione"

Questa paradossale situazione è stata recentemente portata all’attenzione della Corte EDU attraverso il ricorso promosso da soggetti i quali, pur essendo stati assolti nel merito in sede penale dal reato di associazione mafiosa, sono stati successivamente destinatari di un provvedimento di confisca dei patrimoni personali. Nell’ammettere la causa, con provvedimento interlocutorio del 10 luglio 2023 la Corte EDU ha posto all’Italia una serie di quesiti attinenti a vari profili problematici della confisca di prevenzione antimafia (Richiesta n. 29614/16 Cavallotti contro Italia).

In particolare, al punto 2, la Corte EDU osserva che qualora alla confisca di prevenzione dovesse essere riconosciuta natura sostanzialmente punitiva secondo il parametro convenzionale di cui all’art. 7, l’applicazione della misura nonostante l’assoluzione in sede penale dall’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa, oltre a porsi in conflitto con il principio della presunzione di innocenza, violerebbe il predetto art. 7.

A questo proposito, va rammentato che la qualificazione della confisca di prevenzione come sanzione punitiva è stata sinora sistematicamente e pervicacemente esclusa dalla Corte EDU, dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 24 del 2019) e dalla Corte di Cassazione, sul presupposto che tale misura si muove in un’ottica ripristinatoria essendo finalizzata ad apprendere beni che sono stati acquisiti illecitamente e dunque sulla base di un atto di acquisto geneticamente viziato (Cass. Pen. sez. II, 6.6.2019 n. 31549).

Si tratta, in tutta evidenza, di una etichetta ingannevole attraverso la quale è consentito che una persona assolta nel merito si veda irragionevolmente spogliata di tutti i suoi beni. E desta allarme il fatto che una sentenza assolutoria definitiva, emessa a conclusione di un giudizio celebrato secondo le regole ben più garantiste del processo penale, non impedisca l’azione di prevenzione. Tantopiù ove si consideri che, a seguito dei continui innesti alla disciplina originaria, il Codice antimafia attualmente comprende un catalogo di reati del tutto eterogenei rispetto a quelli legati alla criminalità organizzata, come ad esempio i delitti contro la Pubblica Amministrazione.

La Controversia Sulla Natura della Confisca

Si spera che i quesiti posti dalla Corte EDU rappresentino l’occasione per un ripensamento sulla effettiva, e non seriamente contestabile, natura punitiva della confisca di prevenzione.

Infatti, è inaccettabile che una misura così dirompente per la vita di una persona possa essere applicata all’esito di un procedimento di prevenzione nel quale sono decisivi anche indizi privi del requisito della gravità, semplici sospetti, e generiche segnalazioni. Soprattutto se tale decisione si pone in contrasto con quella assolutoria emessa dal giudice penale.  

   


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