Una prima lettura del nuovo codice di deontologia
25/11/2014
Stampa la paginaA norma del cit. art. 65, da tale data cessano di avere efficacia le norme previgenti, anche se non specificamente abrogate, e le nuove regole potranno applicarsi anche ai procedimenti disciplinari in corso, se più favorevoli per l’incolpato.
Il nuovo codice sarà applicato dai neoistituiti Consigli distrettuali di disciplina, che entreranno in funzione dal 1° gennaio 2015 nella composizione prevista dall’art. 50 della l.p.
La previsione di questi nuovi organismi forensi, ai quali è stato attribuito il potere disciplinare, è una delle novità più rilevanti della l.p. Essi sono indipendenti dai COA, i quali, ai sensi degli articoli 29 comma 1 lett. f) e 50 comma 4 della l.p., devono vigilare sulla condotta degli iscritti e trasmettere al Consiglio di disciplina gli atti relativi ad ogni violazione di norme deontologiche di cui siano venuti a conoscenza.
Dal nuovo impianto del codice e dalle numerose disposizioni innovatrici rispetto al precedente testo si evidenzia come pienamente realizzata la finalità di tutelare l’affidamento della collettività e della clientela, attraverso la correttezza dei comportamenti degli avvocati e la qualità ed efficacia della prestazione professionale, come affermato dall’art. 1 comma 3 del codice.
Dunque si può ritenere che, anche al centro del sistema deontologico forense, oggi vi è il cittadino/cliente e non più l’Avvocatura, la quale rappresenta – come efficacemente dichiarato dal Presidente del CNF Prof. Alpa – “il corpo sociale di mediazione tra le persone e l’ordinamento giuridico”, in quanto titolare della funzione costituzionale di garantire l’effettività della tutela dei diritti (art. 2 comma 2 della l.p.).
Come già rilevato nel precedente commento al nuovo testo (v. CF NEWS n. 2/2014), questo si caratterizza per avere una struttura più moderna, ma soprattutto per avere introdotto un sistema di tipizzazione degli illeciti disciplinari con l’espressa indicazione della sanzione applicabile, a norma dell’art. 3 comma 3 della l.p. (che in ogni caso non ha e non può avere una portata esaustiva delle condotte disciplinarmente rilevanti).
Tale sistema rappresenta un notevole progresso rispetto al passato in termini di chiarezza, sia per l’avvocato, sia per la clientela, sia per gli organi forensi, circa la verifica della correttezza dei comportamenti, e consentirà anche una uniformità di valutazioni e di decisioni sulle singole fattispecie da parte dei consigli di disciplina.
In relazione alle materie di interesse della Cassa Forense, in particolare, va ricordato che l’art. 16 del codice sancisce il dovere dell’avvocato di provvedere agli adempimenti previdenziali previsti dalle norme relative, e cioè agli obblighi di comunicazione dei redditi/volumi di affari prodotti annualmente - ispirati al dovere di verità - ed agli obblighi contributivi - nella misura prevista ai fini dell’equilibrio di bilancio del sistema previdenziale a carattere solidaristico - come disciplinati dal vigente Regolamento dei contributi della Cassa ed oggi anche dal Regolamento approvato ai sensi del comma 9 dell’art. 21 l.p. sui contributi minimi.
Infatti la valenza della disposizione dell’art. 16 del codice si rafforza oggi alla stregua del disposto dell’art. 21 comma 8 della l.p., che ha introdotto l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa Forense da parte di tutti gli iscritti agli albi forensi, con l’estensione quindi del regime previdenziale e contributivo speciale (privato/categoriale) a tutti gli avvocati, e la contemporanea esclusione dal regime pubblico anche per quanti di essi finora erano tenuti alla relativa iscrizione obbligatoria (art. 21 comma 10 l.p.). Detta obbligatorietà finalmente completa il processo di privatizzazione della previdenza forense, ponendo termine al regime misto che imponeva ad un numero cospicuo di avvocati di essere iscritti alla gestione separata INPS.
L’art. 16 del codice dunque integra la previsione del cit. art. 21 l.p. attribuendo espressa rilevanza disciplinare all’inadempimento dei suddetti obblighi previdenziali da parte degli iscritti agli albi, nei termini e secondo le modalità espressamente disciplinate.
Va segnalato in proposito che il codice deontologico ha poi inserito nel titolo VI sui rapporti con le Istituzioni forensi, e precisamente all’art. 70 sui rapporti con il COA, una disposizione, al comma 4, che riafferma il dovere dell’avvocato di “assolvere agli obblighi previdenziali ed assicurativi previsti dalla legge, nonché quelli contributivi nei confronti delle istituzioni forensi”, e poi, al comma 7, la previsione esplicita della sanzione disciplinare applicabile in caso di violazione dei doveri di cui al precedente comma, sanzione tipizzata nella “censura” (colmando una lacuna del testo originariamente proposto).
Si deve ritenere che la disposizione dell’art. 70 non sia ridondante rispetto a quella del precedente art. 16, ma la sua introduzione sia stata opportuna e doverosa, proprio per il suo contenuto speciale attinente, appunto, al riferimento alla tipica sanzione applicabile.
Si può solo osservare che il richiamo agli obblighi previdenziali previsti dalla “legge” sia generico e comunque non sufficiente, dato che, come noto, a seguito della privatizzazione della Cassa Forense (d.lgs. 509/94), è stata riconosciuta alla stessa la potestà autonoma di disciplinare gli obblighi contributivi/previdenziali degli iscritti con propri regolamenti, anche delegificando le disposizioni normative previgenti, e riprova ne è la previsione dell’art. 21 comma 9 l.p. sul Regolamento della Cassa sui contributi minimi per le categorie in particolari condizioni reddituali.
Il termine “legge” va allora interpretato in senso di “ordinamento previdenziale forense”, che ricomprende le norme generali sulla previdenza dei liberi professionisti e quelle speciali sulla previdenza forense, di competenza dell’ente categoriale.
Altro profilo da segnalare al riguardo è quello relativo alla previsione dell’art. 11 del vigente Regolamento dei contributi della Cassa, che contempla la sanzione della sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio professionale a carico dell’iscritto che ometta la comunicazione obbligatoria annuale del reddito e del volume d’affari, e cioè una sanzione diversa da quella oggi indicata dall’art. 70 del codice deontologico, che prevede la sanzione più favorevole della censura.
In proposito si deve ritenere che, per effetto del disposto dell’art. 65 co. 5 l.p., con l’entrata in vigore del codice deontologico, la sanzione della sospensione a tempo indeterminato prevista nel Regolamento della Cassa sia stata abrogata, e che la sanzione della censura possa applicarsi anche ai procedimenti in corso, in quanto più favorevole all’incolpato.
La ragione dell’affievolimento della sanzione può essere individuata, e condivisa, alla stregua di una eccessiva severità e sproporzione tra quella prevista in precedenza rispetto alla tipologia della condotta disciplinarmente rilevante. E comunque la novella potrà rendere meno indulgenti i COA nella segnalazione dell’illecito, ed i Consigli distrettuali di disciplina nell’irrogazione della sanzione della censura, rispetto al passato, allorquando in verità per siffatte condotte non vi era stata uniformità di attività sanzionatoria.
Resta fermo comunque che, ai sensi dell’art. 22 comma 2 del codice, la sanzione della censura prevista dall’art. 70 comma 7, in riferimento alla violazione di cui al comma 4, può essere aumentata fino alla sospensione temporanea fino ad un anno dall’esercizio dell’attività professionale nei casi più gravi, come - si deve ritenere - nell’ipotesi di reiterate violazioni degli obblighi previdenziali ovvero di inadempimenti contributivi di particolare entità. In tali casi i Consigli di disciplina non potranno esimersi dal valutare anche il profilo del grave pregiudizio arrecato dall’iscritto inadempiente al regime di tipo solidaristico che caratterizza il sistema previdenziale forense ed all’equilibrio di bilancio della Cassa.
Avv. Alberto Bagnoli