Presentato il Codice deontologico
24/02/2014
Stampa la paginaIl Codice sarà pubblicato sulla G.U. con decreto del Ministro della Giustizia ed entrerà in vigore dopo 60 giorni (art. 3 co.4), abrogherà tutte le norme previgenti e si applicherà anche ai procedimenti disciplinari in corso, quanto alle norme più favorevoli per l’incolpato (art. 65 co. 5).
Come noto, in precedenza, tale potestà regolamentare non era contemplata dalla legge professionale che attribuiva al CNF soltanto la potestà sanzionatoria, ma lodevolmente, ispirandosi al dibattito dottrinale ed alla giurisprudenza in materia, lo stesso CNF è giunto nel 1997 all’approvazione del primo Codice deontologico forense, che pur non avendo carattere normativo, ha fissato un insieme di regole per attuare i valori caratterizzanti della professione e per garantire la libertà, la sicurezza e l’inviolabilità della difesa (Cass. SS.UU. 11587/2013).
Nel rispetto del termine assegnatogli dalla legge, nella seduta del 31 gennaio 2014, il CNF ha approvato il nuovo Codice deontologico che contiene i principi e le norme di comportamento che l’avvocato iscritto all’albo deve osservare in via generale e, specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e professionisti (art. 3 co. 5).
I principi fissati dall’art. 3 comma 2 della L.P. sono quelli di indipendenza ed autonomia, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, corretta e leale concorrenza, e sono poi ulteriormente declinati e specificati nel Titolo I del Codice.
Le norme deontologiche hanno tutte rilevanza disciplinare in quanto rispondono alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione forense e, in ossequio al disposto legislativo, sono caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione delle condotte e contengono l’espressa indicazione delle sanzioni applicabili.
Ai sensi dell’art. 51 della L.P. invero le infrazioni ai doveri ed alle regole di condotta fissati dalla legge e dal Codice deontologico sono sottoposte al giudizio disciplinare degli istituendi Consigli distrettuali di disciplina.
L’importanza del nuovo Codice e delle sue disposizioni si ricollega direttamente ad una delle funzioni principali che la L.P. ha assegnato all’ordinamento forense e cioè, come ribadito anche nei primi articoli del Codice, quella di tutelare l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l’obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale (art. 1 co. 2 lett. c), ed assoggettando quindi l’avvocato al rispetto delle regole deontologiche nell’esercizio dell’attività professionale ed anche nei comportamenti della vita privata quando possa risultare compromessa la reputazione o l’immagine della professione forense.
Il nuovo testo si caratterizza per avere una struttura più razionale e moderna, con la suddivisione in titoli che dettano i principi generali e poi disciplinano i rapporti con il cliente e la parte assistita, con i colleghi, con i terzi e controparti, con le istituzioni forensi. Si segnala particolarmente la previsione del titolo IV sui doveri dell’avvocato nel processo, che raccoglie le regole basilari per un corretto comportamento nell’espletamento dell’attività giudiziale, ispirato all’osservanza del dovere di difesa e contemporaneamente alla gestione dei rapporti con tutti gli altri soggetti del processo secondo canoni di dignità e reciproco rispetto (con i colleghi, i magistrati, le parti ed i terzi).
Innovando rispetto al passato il Codice introduce un sistema di tipizzazione degli illeciti disciplinari che certamente obbedisce a criteri di certezza del diritto (nei limiti del “possibile” secondo la previsione dell’art. 3 L.P.), ma non esclude quindi che possano identificarsi ulteriori condotte violatrici dei principi etici che siano suscettibili di vaglio disciplinare. D’altronde la professione forense, al pari delle altre professioni liberali, è quotidianamente esposta alle innovazioni (normative, tecnologiche, sociali) che condizionano l’esercizio dell’attività e non può non adeguarsi alle stesse nell’assolvimento della propria funzione, dovendo però costantemente conservare un comportamento che non tradisca quella cura dell’interesse pubblico cui è preordinato l’ordinamento forense.
Pertanto il Codice descrive le singole fattispecie delle condotte doverose, fornendo un quadro di chiarezza sulle modalità dell’esercizio dell’attività forense a garanzia sia dell’avvocato che di tutti i soggetti che restano coinvolti nel rapporto professionale, giudiziale ed extragiudiziale.
A chiusura di ogni norma, per ciascuna fattispecie sono quindi specificati il tipo e la misura della sanzione disciplinare applicabile in caso di violazione della regola deontologica.
Un siffatto sistema di maggiore completezza normativa sui doveri e le sanzioni assolverà anche allo scopo di rendere più comprensibile la graduazione della rilevanza deontologica delle varie condotte e sarà quindi un’utile guida per l’avvocato nella sua quotidiana attività, e nello stesso tempo comporterà un miglioramento dell’operato degli organi forensi preposti all’azione disciplinare, sia sotto il profilo della necessaria uniformità delle valutazioni e delle decisioni, sia sotto quello del sindacato della legittimità delle decisioni stesse da parte dei soggetti interessati.
A questo proposito, e con i limiti propri di una prima lettura che rinvia necessariamente a successivi approfondimenti, va segnalata quella che appare una insufficienza del Codice, attinente alla materia previdenziale, certamente ovviabile in sede di futuro aggiornamento.
Come noto, la legge di riforma forense del 2012 ha profondamente innovato il sistema previgente introducendo la regola della contestuale iscrizione dell’avvocato all’albo ed alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense (art. 21 comma 8), e vietando l’iscrizione ad altra forma obbligatoria di previdenza (art. 21 co. 10).
Inserito tra i principi generali del Titolo I, l’art. 16 del Codice deontologico ha giustamente confermato la sussistenza di un dovere di adempimento previdenziale dell’avvocato, oltre a quelli fiscale, assicurativo e contributivo (“L’avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali e previdenziali previsti dalle norme in materia”), e però con una norma scarna che riproduce il testo dell’originario Codice del 1997, senza neppure ribadire quanto inserito nella modifica apportata con la delibera del CNF del 27 gennaio 2006, e cioè che a tale adempimento l’avvocato deve provvedere “regolarmente e tempestivamente”.
La disposizione poi non trova poi attuazione per quanto concerne la possibile tipizzazione dell’illecita violazione (omissioni, ritardi, adempimenti parziali, ecc.) e l’individuazione delle sanzioni disciplinari applicabili, tenuto conto che, in base alla normativa di legge e di regolamenti approvati dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, molteplici e di vario contenuto sono gli adempimenti posti a carico dell’avvocato per una corretta e legittima gestione del rapporto previdenziale, e che ovviamente il sistema sanzionatorio di specifica competenza dell’ente previdenziale non si estende alle misure disciplinari.
Va a tal riguardo rammentata la previsione dell’art. 9 della legge n. 141 dell’11.2.1991, secondo cui l’omissione delle comunicazioni obbligatorie dell’avvocato alla Cassa ex art. 17 della legge n. 576/1980 è segnalata al competente Consiglio dell’ordine per la valutazione del comportamento dell’iscritto sul piano disciplinare, e che il perdurante inadempimento comporta la sospensione dell’iscritto dall’esercizio professionale a tempo indeterminato, all’esito del relativo procedimento sanzionatorio. La norma è stata poi integralmente recepita dall’art. 11 del Regolamento dei contributi approvato dalla Cassa, successivamente alla privatizzazione del 1994, nel testo ultimo deliberato dal Comitato dei delegati in data 5 settembre 2012, sia per gli iscritti agli albi ordinari sia per quelli iscritti all’albo speciale dei cassazionisti.
Opportuna, se non necessaria, sarebbe quindi una norma di dettaglio sull’assolvimento dei doveri ex art. 16 del Codice, che contemplasse gli obblighi a carico dell’avvocato, che derivano dall’iscrizione all’ente previdenziale di categoria, e la tipologia delle sanzioni applicabili nelle varie ipotesi, così rendendo effettiva e cogente l’irrogazione delle stesse da parte degli organi forensi preposti, che in verità sino ad ora nella materia non sono stati particolarmente efficaci ed attenti (anche in caso di applicazione di eventuali sanzioni che sono state di volta in volta irrogate in maniera diversa, dall’avvertimento alla sospensione a tempo indeterminato).
La disposizione troverebbe la sua sede naturale nel Titolo III sui rapporti con i Colleghi, posto che gli adempimenti previdenziali dell’avvocato, oltre a soddisfare la funzionalità della Cassa, soddisfano il fondamentale principio di solidarietà e correttezza che legano tutti gli esercenti della professione forense per una giusta redistribuzione degli oneri, in considerazione dell’autonomia privata della gestione previdenziale che non usufruisce di contributi pubblici e del sistema a ripartizione nell’erogazione delle prestazioni previdenziali.
Il principio di solidarietà dovrà dunque trovare espressa previsione nell’art. 16 del Codice, non potendosi trascurare la portata della legge professionale che ha esteso a tutti gli iscritti agli albi l’obbligo di iscrizione e di contribuzione previdenziale alla Cassa Forense.
Avv. Alberto Bagnoli