Restituzione dei contributi: revirement della Corte d’Appello di Roma che si uniforma alla Cassazione

di Marcello Bella

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La sentenza in epigrafe costituisce uno snodo assai importante nella definizione giurisprudenziale della questione dell’irripetibilità dei contributi.
Giova ricordare che i primi due commi del nuovo testo dell’art. 4 del Regolamento Generale della Cassa, adottato con delibera del Comitato dei Delegati del 23.7.2004, come emendato in seguito alle osservazioni dei Ministeri vigilanti, recitano:
1. Tutti i contributi versati legittimamente alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense non sono restituibili all’iscritto o ai suoi aventi causa, ad eccezione di quelli relativi ad anni di iscrizione dichiarati inefficaci ai sensi dell’art. 22, ultimo comma, della L. 576/80 (norma, quest’ultima, di fatto superata dalla novella sull’ordinamento professionale, n.d.r.).
2. Gli iscritti che abbiamo compiuto il 65° anno di età e maturato più di cinque anni ma meno di trenta di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e che non si siano avvalsi dell’istituto della totalizzazione, hanno diritto a chiedere la liquidazione di una pensione calcolata con il criterio contributivo, salvo che intendano proseguire nei versamenti dei contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianità o maturare prestazioni di tipo retributivo.
Ebbene, se la sentenza n. 2219/2014 della stessa Corte d’Appello riteneva limitata l’autonomia regolamentare degli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, la sentenza in commento osserva invece come l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con gli artt. 2, comma 2 e 3, comma 3, del D.Lgs. 509/94 abbiano sostanzialmente “delegificato la materia”, “anche in deroga a disposizioni precedenti” (in tal senso, Cass., Sez. Lav., sent. n. 24202/2009. Conformi: Cass., sentt. n. 13607/2012 e n. 12209/2011).



Corollario dell’autonomia dell’Ente è, pertanto, la possibilità della fonte secondaria – i.e. il Regolamento della Cassa – di introdurre norme generali ed astratte, al fine di assicurare il perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente, nonché il mantenimento dell’equilibrio finanziario dello stesso, nei limiti previsti dalla legge, con i limiti costituiti dai tipi di provvedimenti che tali enti sono abilitati ad adottare e dal principio del pro rata.
La Corte Costituzionale, nella recentissima ordinanza n. 254/2016 del 18/10/2016, in ordine alla questione attinente alla legittimità dei Regolamenti emanati dalla Cassa, ha, tra l’altro, affermato che essi “sono riconducibili ad un processo di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali” e che “questo assetto è stato realizzato attraverso una sostanziale delegificazione della materia, come osservato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 24202”. Sempre il giudice delle leggi, inoltre, nella sentenza n. 7/2017, depositata in data 11/1/2017, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa che dispone l’obbligo di versamento al bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione della spesa per consumi intermedi delle Casse di previdenza e di assistenza privatizzate. La pronuncia, al di là del tema specifico affrontato, rappresenta invero un passaggio davvero importante poiché la Corte evidenzia che "l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare gli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale autonoma […] cosicché ogni spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente sul sinallagma macroeconomico tra contributi e prestazioni” in quanto la configurazione della norma (quella oggetto di valutazione di legittimità, n.d.r.) aggredisce, sotto l’aspetto strutturale “la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si articola la naturale missione delle Casse di previdenza di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale”. Invero, per la Corte Costituzionale, “il relativo assetto organizzativo e finanziario, basato sul principio mutualistico, deve essere preservato in modo coerente con l’assunto dell’autosufficienza economica, dell’equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni”.
E ancora, osserva la Corte d’Appello di Roma, assolutamente idonea a “essere delegificata” risulta la norma prevista dall’art. 4 del Regolamento Generale, poiché riconducibile ai “limiti di autonomia dell’Ente”: la sostituzione dell’istituto della ripetizione dei contributi con quello della pensione contributiva non causa lesione di diritti, posto che l’abrogazione del primo istituto è stata contestuale alla previsione del secondo, che costituisce “nuovo e diverso diritto”.
La Cassa, difatti, non ha fatto altro se non attuare – anche con anticipo rispetto ad altre gestioni previdenziali per liberi professionisti – i principi della riforma operata con la legge n. 335/1995, principi che si devono ritenere prevalenti anche sul disposto dell’art. 21 della legge n. 576/1980.



Si deve ricordare, ad ogni modo, che l’istituto della restituzione dei contributi è assolutamente eccezionale nel panorama previdenziale nazionale e, infatti, è estraneo anche al sistema di previdenza obbligatoria gestito dall’INPS: la contribuzione inutilizzata, nei fondi gestiti dall’Istituto, rimane acquisita a titolo di solidarietà. Tanto premesso, risulta ancor più logica e legittima la sostituzione dell’istituto della restituzione dei contributi con quello della pensione contributiva e, invero, il diritto alla prima è stato sostituito con il nuovo e diverso diritto alla liquidazione del trattamento contributivo, in modo tale da garantire che nessuno resti sprovvisto di tutela previdenziale, in conformità al disposto dell’art. 38 della Costituzione.
Peraltro, nel caso di specie, la domanda del ricorrente risultava presentata in data successiva all’abrogazione dell’art. 21 legge n. 576/1980 ad opera del Regolamento generale della Cassa: pertanto - come ritenuto dalla Suprema Corte con sent. 9 maggio 2016, n. 9290, in un giudizio avente come parte la Cassa Geometri – non ha alcun effetto la domanda dell’iscritto avanzata in epoca in cui il beneficio richiesto non è più previsto dalla normativa. Nella pronuncia che si commenta, difatti, è valorizzato il principio della domanda, in base al quale “il diritto alla prestazione è subordinato a specifici comportamenti dell’iscritto, in particolare ad un atto di iniziativa” (Cass., 24 maggio 2004, n. 9941). Non costituendo la restituzione dei contributi – sulla base della previgente normativa - automatica conseguenza della cancellazione dell’iscritto - e non essendo stata richiesta prima dell’introduzione dell’istituto della pensione contributiva – il diritto non si è, osserva la Corte d’Appello, consolidato.


Avv. Marcello Bella
Dirigente Ufficio Legale Cassa Forense

Dott.ssa Serena Mantegna

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