Recenti pronunce della Corte Costituzionale italiana, in particolare le sentenze n. 128 e 129 del 2024, offrono un'importante riflessione sulla disciplina dei licenziamenti prevista dal Jobs Act, evidenziando le sue criticità e le modifiche necessarie per garantire una protezione adeguata ai lavoratori.
Il Contesto del Jobs Act
Il Jobs Act, introdotto nel 2015, ha riformato il mercato del lavoro italiano, introducendo misure come la tutela reintegratoria attenuata per i licenziamenti. Questa forma di protezione è prevista per i lavoratori che subiscono un licenziamento illegittimo, applicandosi in specifiche situazioni stabilite dalla legge, ad esempio quando il giudice ritiene che il licenziamento, pur essendo illegittimo, non sia così grave da giustificare una tutela piena.
Le Criticità della Tutela Reintegratoria Attenuata
Tuttavia, l'applicazione della tutela reintegratoria attenuata ha sollevato interrogativi, soprattutto riguardo alla protezione dei lavoratori in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e disciplinare.
Con la Sentenza n. 128 del 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che regola il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. La questione era stata sollevata dal Tribunale di Ravenna in un procedimento tra un lavoratore e una società per azioni. Il Tribunale aveva chiesto alla Corte di esaminare la legittimità della norma che non prevedeva la tutela reintegratoria attenuata nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora fosse dimostrata l'insussistenza del fatto materiale alla base del licenziamento.
La Corte Costituzionale ha stabilito che la tutela reintegratoria attenuata deve essere applicata anche nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo quando il fatto materiale addotto dal datore di lavoro risulta insussistente. In pratica, se un lavoratore viene licenziato per motivi economici o organizzativi e si dimostra che tali motivi non esistono, il lavoratore ha diritto al reintegro nel proprio posto di lavoro. Inoltre, la Corte ha chiarito che, in queste circostanze, non deve essere considerata la possibilità di ricollocare il lavoratore all'interno dell'azienda, noto come "repêchage". Questo è un aspetto cruciale poiché elimina una delle giustificazioni che i datori di lavoro potrebbero utilizzare per legittimare il licenziamento.
Sentenza n. 129 del 2024: Licenziamenti Disciplinari
Diversamente, con la Sentenza n. 129 del 2024, la Corte ha ritenuto non fondata la questione sollevata in merito alla tutela reintegratoria in caso di inadempienze del lavoratore, qualora la contrattazione collettiva preveda solo sanzioni conservative. La Corte ha fornito un'interpretazione adeguatrice, affermando che la tutela deve essere applicata anche in queste situazioni, rispettando il principio di proporzionalità. In pratica, significa che se un lavoratore viene licenziato per una violazione che, secondo il contratto collettivo, dovrebbe comportare solo una sanzione conservativa, il lavoratore ha diritto al reintegro con tutela reintegratoria attenuata.
Implicazioni delle Sentenze
Queste sentenze rappresentano un importante passo avanti nella protezione dei diritti dei lavoratori, rafforzando la loro posizione in caso di licenziamenti ingiustificati. La Corte ha sottolineato l'importanza di garantire che i lavoratori non possano essere licenziati senza una giustificazione valida, contribuendo così a un equilibrio più giusto tra le esigenze delle imprese e i diritti dei lavoratori.
Le sentenze n. 128 e 129 del 2024 della Corte Costituzionale ribadiscono la necessità di criteri rigorosi e giustificazioni solide per i licenziamenti, promuovendo una maggiore equità nel mondo del lavoro.