QUANDO IL LAVORATORE RIFIUTA LA LETTERA DI LICENZIAMENTO

di Livio Galla

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Il licenziamento rappresenta notoriamente un momento particolarmente delicato del rapporto di lavoro, in particolare per la parte debole del contratto, vale a dire il lavoratore.

Proprio per questo motivo, il legislatore ha previsto una serie di tutele legate, ad esempio, alle modalità con cui il datore di lavoro è tenuto a comunicare al dipendente la propria volontà di recedere dal rapporto.

Primo fra tutti, il requisito della forma scritta. Il datore di lavoro, infatti, è tenuto a comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore e a specificare, nella comunicazione stessa, i motivi che hanno determinato il recesso.

Il mancato rispetto delle regole appena citate rende illegittimo il licenziamento irrogato al lavoratore e, in particolare, la mancanza della forma scritta rende nullo il recesso.

Proprio per questo, la modalità più comunemente utilizzata nelle aziende per manifestare la volontà di recedere dal rapporto consiste nel consegnare a mani la lettera di licenziamento e conservare una copia firmata dal lavoratore “per presa visione”.

Cosa succede se il lavoratore  rifiuta  la lettera di licenziamento?

Non essendo previste particolari tutele  normative per questa evenienza, sono le decisioni dei Magistrati competenti a dover indirizzare il comportamento sia del dipendente che del datore di lavoro.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito sin dai primi arresti (finora mai smentiti) che

in tema di consegna dell’atto di licenziamento nell’ambito del luogo di lavoro, il rifiuto del destinatario di riceverlo non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, trattandosi di un atto unilaterale recettizio che non sfugge al principio generale per cui il rifiuto della prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell’obbligato, ed alla regola della presunzione di conoscenza dell’atto desumibile dall’art. 1335 c.c.” (Cass. n. 20272/2009 e n. 12571/1999).

Chiarito quindi che il rifiuto del lavoratore di ricevere la comunicazione non incide rispetto al perfezionamento del recesso datoriale, il problema da porsi ora attiene alla prova dell’avvenuta comunicazione, fermo restando che essa grava sul datore di lavoro.

La Suprema Corte ha ritenuto pienamente valida la prova testimoniale vertente sulla consegna a mani della lettera e sul rifiuto del lavoratore di riceverla. Pertanto, la comunicazione scritta di licenziamento ben può essere consegnata al destinatario tramite persona incaricata dal datore di lavoro, la quale potrà poi essere assunta come teste nell’eventuale giudizio di impugnazione al fine di provare l’avvenuta consegna (Cass. n. 7390/2013, n. 14825/2000, n. 1027/1997).

Prudenzialmente, quindi, nel timore che il dipendente possa rifiutare di ricevere la lettera di licenziamento, il datore di lavoro può predisporre in calce al documento, oltre alla firma per presa visione del dipendente, anche una sottoscrizione di un altro dipendente che attesti l’avvenuta consegna.

A tal proposito, si ricorda che il rifiuto di ricevere una comunicazione, anche formale, sul posto di lavoro ha rilevanza disciplinare e può pertanto essere oggetto di contestazione (cfr. Cass. n. 23061/2007).

Negli ultimi anni, anche grazie all’avvento delle nuove tecnologie, la giurisprudenza ha avuto modo di ampliare la portata dei principi appena esposti, riconoscendo validità al licenziamento intimato tramite mail (Cass. n. 29753/2017) o messaggio Whatsapp (Trib. di Catania, 27/06/2017).

Il requisito della comunicazione per iscritto deve infatti ritenersi assolto con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità, non essendo prescritte formule sacramentali, purché la volontà di licenziare sia manifestata in forma chiara e  sia riconducibile al datore di lavoro.

Infine, è appena il caso di sottolineare che, in caso di invio della lettera di licenziamento tramite raccomandata a/r, la comunicazione si presume conosciuta dal destinatario nel momento in cui è recapitato al suo indirizzo e non nel diverso momento in cui il dipendente ne prenda effettiva conoscenza. In caso di assenza presso il domicilio segnalato al datore di lavoro, il licenziamento si presume pervenuto “alla data in cui è rilasciato il relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale” (Trib. di Vicenza, 29/12/2020).

 


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