LA RESPONSABILITÀ DELLA STRUTTURA PER LE INFEZIONI CONTRATTE IN OSPEDALE

di Franco Smania

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Il giudizio per il risarcimento del danno parentale, promosso dai congiunti di una paziente deceduta in ospedale a seguito di un’infezione ivi contratta, ha recentemente offerto lo spunto alla Corte di Cassazione per specificare gli oneri probatori a carico della struttura sanitaria, oltre che dei congiunti stessi.

In particolare, con l’importante sentenza n. 6386 del 3 marzo u.s., la Suprema Corte ha puntualmente delineato, sulla base di vere e proprie direttive tecniche, gli oneri probatori a carico della struttura che voglia sottrarsi all’addebito di responsabilità.

Preliminarmente la Cassazione ha evidenziato che l’azione proposta dai prossimi congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall'inadempimento dell'obbligazione sanitaria, va qualificata come azione di responsabilità extracontrattuale iure proprio, talchè gli stessi dovranno dare prova del fatto colposo, del pregiudizio derivatone e del nesso causale tra il comportamento dei sanitari e l'evento dannoso.

In relazione al nesso causale, poi, il Supremo Collegio ha ribadito il principio secondo cui la prova deve essere fornita in termini probabilistici ovvero “del più probabile che non” e non di assoluta certezza.

Si deve cioè verificare, in base a un ragionamento probabilistico, se il comportamento che la struttura avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno l'evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto.

Quanto alla struttura sanitaria, la Corte, richiamando la propria sentenza n. 4864/2021, ha evidenziato che essa deve provare:

1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l'insorgenza di patologie infettive;

2) di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico;

osservando che ai fini dell'affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano:

  1. il criterio temporale, vale a dire il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall'ospedale;
  2. il criterio topografico, cioè l'insorgenza dell'infezione nel sito chirurgico interessato dall'intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti,
  3. il criterio clinico, una volta che, in ragione della specificità dell'infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione era necessario adottare.

Entrando nel dettaglio, la Cassazione ha osservato che, a fronte della prova (presuntiva) che la contrazione dell’infezione è avvenuta in ambito ospedaliero e per dimostrare di aver adottato tutte le misure utili alla prevenzione delle infezioni stesse, la struttura sanitaria avrà l’onere di fornire specifica documentazione attinente:

  1. a) ai protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali;
  2. b) alle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;
  3. c) alle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami;
  4. d) alle caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande;
  5. e) alle modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti;
  6. f) alla qualità dell'aria e degli impianti di condizionamento;
  7. g) all'attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica;
  8. h) ai criteri di controllo e di limitazione dell'accesso ai visitatori;
  9. i) alle procedure di controllo degli infortuni e delle malattie del personale e le profilassi vaccinali;
  10. j) al rapporto numerico tra personale e degenti;
  11. k) alla sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio;
  12. l) alla redazione di un report da parte delle direzioni dei reparti da comunicare alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella;
  13. m) all'orario della effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.

Quanto agli oneri soggettivi, la Corte ha rilevato che:

il dirigente apicale avrà, da un lato, l'obbligo di indicare le regole cautelari da adottarsi e, dall’altro, il potere-dovere di sorveglianza e di verifica (riunioni periodiche/visite periodiche);

il direttore sanitario avrà l’obbligo di attuarle, di organizzare gli aspetti igienico e tecnico-sanitari, di vigilare sulle indicazioni fornite (obbligo di predisposizione di protocolli di sterilizzazione e sanificazione ambientale, gestione delle cartelle cliniche, vigilanza sui consensi informati);

il dirigente di struttura complessa (ex primario), quale esecutore finale dei protocolli e delle linee guida, dovrà collaborare con gli specialisti microbiologo, infettivologo, epidemiologo, igienista, ed è responsabile per omessa assunzione di informazioni precise sulle iniziative di altri medici, o per omessa denuncia delle eventuali carenze ai responsabili.

Infine, ma non ultimo, la Corte ha altresì specificato quali siano i compiti del consulente tecnico d’ufficio chiamato a decidere sia sul riconoscimento dell’infezione ospedaliera, sia sul nesso causale tra i comportamenti adottati e l’evento verificatosi.

In particolare, il medico legale dovrà indagare “sulla causalità tanto generale quanto specifica, da un lato escludendo, se del caso, la sufficienza delle indicazioni di carattere generale in ordine alla prevenzione del rischio clinico, dall'altro (…) esaminando la storia clinica del paziente, la natura e la qualità dei protocolli, le caratteristiche del micro organismo e la mappatura della flora microbica presente all'interno dei singoli reparti”.

Nello specifico, il Supremo Collegio chiarisce che al CTU andrebbe rivolto “un quesito composito, specificamente indirizzato all'accertamento della relazione eziologica tra l'infezione e la degenza ospedaliera in relazione a situazioni:

  1. a) di mancanza o insufficienza di direttive generali in materia di prevenzione (…);
  2. b) di mancato rispetto di direttive adeguate e adeguatamente diffuse (…), di omessa informazione della possibile inadeguatezza della struttura per l'indisponibilità di strumenti essenziali (…), di ricovero non sorretto da alcuna esigenza di diagnosi e cura ed associato ad un trattamento non appropriato (…).”

E’ di tutta evidenza che quella delineata dalla Corte di Cassazione rappresenta una vera e propria guida operativa per la struttura sanitaria che voglia tutelarsi dal rischio di contenzioso da infezioni, rischio in prospettiva assai rilevante, per la crescita esponenziale di infezioni ospedaliere resistenti alla terapia antibiotica.


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