LA CONDOTTA PREGRESSA DEL LAVORATORE PUÒ GIUSTIFICARE IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA: IL RUOLO DECISIVO DEL VINCOLO FIDUCIARIO

di Gianluca Mariani

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Con l’ordinanza n. 4227 depositata il 18 febbraio 2025, la Corte di Cassazione ribadisce un principio già consolidato ma ancora di stringente attualità: una condotta tenuta prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro può costituire giusta causa di licenziamento, se, scoperta successivamente, risulta idonea a compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore.

Nel caso esaminato, il lavoratore aveva falsamente attestato il possesso di titoli accademici e professionali per ottenere l’assunzione. Solo a distanza di tempo, il datore di lavoro aveva scoperto l’inesistenza di tali requisiti, che erano stati determinanti per la selezione. A fronte di tale condotta, l’azienda aveva disposto il licenziamento per giusta causa, ritenendo definitivamente compromesso il rapporto fiduciario.

La Corte ha dato ragione al datore di lavoro, affermando che la condotta dolosa e preordinata del dipendente, pur risalente a epoca anteriore alla sottoscrizione del contratto, integra una grave violazione del dovere di lealtà e giustifica il recesso immediato.

Fiducia e giusta causa: un legame indissolubile

Il fondamento del licenziamento per giusta causa non si esaurisce nella valutazione astratta della condotta, ma risiede nella rottura irreversibile del vincolo fiduciario. Come sottolinea la Cassazione, il rapporto di lavoro si basa su “un elemento fiduciario che deve permanere integro per tutta la durata del rapporto”. Qualora tale fiducia venga meno, anche a causa di fatti scoperti in un momento successivo, il recesso può essere immediatamente giustificato.

Quando conta il “quando”

È determinante il momento in cui il datore di lavoro viene a conoscenza della condotta, non quello in cui la stessa è stata posta in essere. Se il fatto viene scoperto solo dopo l’assunzione, non per questo perde la sua rilevanza disciplinare:

“Non rileva il momento in cui il fatto è stato commesso, bensì quello in cui è venuto a conoscenza del datore di lavoro.” (Cass. n. 4227/2025)

La falsità precontrattuale come causa di licenziamento

La Corte valorizza, inoltre, l’elemento soggettivo: la condotta del lavoratore era stata non solo irregolare, ma dolosamente finalizzata a indurre il datore in errore circa il possesso di qualifiche determinanti per l’assunzione. Tale comportamento ha quindi compromesso “in maniera decisiva la fiducia riposta” dal datore nella persona assunta.

La pronuncia richiama precedenti conformi (tra cui Cass. n. 5099/2020 e n. 26199/2021), rafforzando un orientamento ormai consolidato secondo cui il comportamento preassuntivo può essere rilevante, a patto che emerga una lesione sostanziale dell’affidamento fiduciario.

Considerazioni conclusive

Questa ordinanza ha il merito di chiarire un punto spesso controverso: non è la collocazione temporale della condotta a determinarne la rilevanza, ma il suo impatto sulla fiducia reciproca che sorregge il rapporto lavorativo. Il datore di lavoro, venuto a conoscenza di un fatto grave e dolosamente occultato dal lavoratore, ha il diritto di tutelare l’integrità dell’organizzazione, anche mediante il licenziamento immediato.

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