IL DATA TRUST

di Enrico Cecchin

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Quotidianamente ogni singolo individuo genera una mole sorprendente di dati e l’impiego di strumenti informatici ne ha favorito l’incremento esponenziale, dando origine al fenomeno dei big data, quantità di informazioni di dimensioni tali da sfuggire alla diretta interpretazione umana e riservando alle nuove tecnologie di intelligenza artificiale l’unico mezzo per ricavarne relazioni e quindi interpretare fenomeni complessi.

Come intuibile, l’utilizzo proficuo di questi dati da parte di un operatore è legato, da un lato, alla sua capacità tecnologica, dall’altro, alla possibilità di acquisirli senza troppi problemi.

Il dato, pertanto, acquista valore proprio e la maturata consapevolezza di ciò comporta, anche per il singolo individuo, la propensione ad una sua tutela, seppur finora in relazione alla garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche (si veda il noto strumento del GDPR).

Colui che genera il dato, ad ogni modo, può disporne e tale attività dispositiva incrocia le richieste delle aziende che se ne servono per gli scopi più vari, ma generalmente ciò avviene in modo granulare, ossia attraverso singole autorizzazioni e quasi meccanicamente (sia per la predisposizione di modelli preformati, che per l’automatica accettazione dell’utente di tutte le previsioni senza la reale comprensione di quanto rappresentato).

Da qui la necessità di individuare strumenti di gestione organizzata dei dati prodotti dai singoli attraverso strumenti che controbilancino il potere contrattuale (oltre che economico e tecnologico) delle grandi aziende che su quei dati fondano ampia parte del loro business.

Cos'è il Data Trust

Il data trust è un accordo tra il proprietario dei dati e un fiduciario (trustee) che li gestirà nell’esclusivo interesse del primo, applicando le condizioni convenute.

Secondo la definizione dell’O.D.I. (Open Data Institute), il data trust è

“una struttura giuridica che fornisce una gestione indipendente dei dati”

È bene chiarire che, sebbene l’utilizzo del termine data trust rimandi immediatamente al noto istituto giuridico anglosassone, non si tratta di un trust vero e proprio, ma di congegni legali che da esso prendono spunto per principi e meccaniche.

Nell’era dei big data, questa forma di gestione ed utilizzo dei dati generati dal singolo (o da altre entità), può avere un effetto dirompente.

Si pensi, ad esempio, alla possibilità di affidare ad un data trust la gestione dei propri dati sanitari o dei dati ricavati dall’utilizzo degli apparecchi digitali che abbiamo quotidianamente incollati alle mani: tali dati (e le informazioni che le grandi società ottengono attraverso l’applicazione di sofisticati sistemi di intelligenza artificiale, come detto) hanno un rilevante valore economico e, nell’ipotesi di intervento del data trust, sarebbe l’amministratore di quest’ultimo a valutare, concordare e -in casi di grandi numeri- negoziare il loro utilizzo da parte delle aziende.

Non sarebbe quindi più necessario, per il singolo soggetto, dover prendere visione e accettare le condizioni formulate dall’erogatore dello specifico servizio, ma sarebbe il trustee a farlo, ovviamente se rispondente alle convenzioni pattuite nel data trust.

Le stesse aziende potrebbero vedere una riduzione dei costi: l’accesso ad una mole di dati amministrata dal trust è operativamente più semplice rispetto ad una gestione individuale delle autorizzazioni.

Oltre alla maggior forza contrattuale che il trust avrebbe nei confronti delle aziende che intendono sfruttare i dati, la segregazione del dato contenuto all’interno del trust impedirebbe utilizzi non previsti o comunque in contrasto con la volontà istitutiva del trust stesso e finanche garantendo il singolo proprietario da proprie azioni di disposizione del dato, poiché anch’egli inibito all’utilizzo.

Egli infatti può essere estromesso o limitato nelle fasi decisionali sull’utilizzo del dato inserito nel trust.

Come si intuisce, la materia risulta tanto interessante quanto nuova e i possibili utilizzi dello strumento del data trust sono innumerevoli: è possibile prevedere che i dati siano resi disponibili a coloro che ne hanno bisogno, mantenendo la fiducia sul loro utilizzo e aprire così ad opportunità di gestione in forme più eque ed etiche.

A conclusione è però opportuno svolgere una considerazione di massima: il data trust, come ogni strumento duttile e di nuova concezione, non garantisce di per sé il buon utilizzo dei dati e pertanto deve essere visto come un tassello del percorso volto alla consapevole organizzazione e amministrazione di questa risorsa, un percorso che coinvolge, tra gli altri, livello governativo e normativo.

Avv. Enrico Cecchin – Foro di Padova


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