Figlio universitario all'estero e pensione reversibilità

di Daniela Carbone

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La Suprema Corte, con sentenza 22.11.2018 n. 30267, si è occupata della fattispecie relativa alla spettanza o meno del diritto alla pensione di reversibilità di una figlia iscritta all'Università in ateneo estero non abilitato in Italia, ed ha “concluso” per la non spettanza di tale diritto ove la figlia del pensionato abbia frequentato un istituto universitario estero i cui titoli non risultano riconosciuti nel nostro ordinamento.

La fattispecie esaminata ha riguardato, in particolare, una ragazza che aveva frequentato un istituto gestito da una società privata che aveva stipulato una convenzione privatistica con una Università inglese che rilasciava il titolo di studio, titolo che per la legislazione italiana non è “automatico” (l. n.148 del 2002) ma subordinato a specifiche procedure disciplinate dal dm n.214 del 2002: il riconoscimento del titolo universitario estero non è automatico, ma è soggetto ad una particolare procedura di riconoscimento che nella specie non era avvenuta.

La società “privata” non aveva ricevuto alcun riconoscimento legale o equiparazione in Italia, e quindi priva di riconoscimento legale o dotato di corso legale, né modifica tale conclusione la convenzione privatistica tra la società e l’Università inglese, atteso che tale convenzione non consente di pervenire a diverse conclusioni, in quanto il riconoscimento del titolo di studio straniero, come già detto, non è automatico.

La citata sentenza n.30267/2018 afferma come in tema di pensione di reversibilità, la normativa (art.13 del rd n.636/1939, come da ultimo modificato dall’art.22, comma 3, della l.n.903/1965) statuisce – tra l’altro - che per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, il limite di età è elevato al 21 anno qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26 anno di età, qualora frequentino l’università”.

Per la Corte, sulla base della riportata dizione letterale della norma è necessario, per i figli a carico infraventiseienni, che questi frequentino un “corso universitario”, che rilasci un titolo universitario.

La società privata  di cui alla fattispecie in esame, “frequentata” non aveva ricevuto alcun riconoscimento legale o equiparazione in Italia, né era abilitata a rilasciare titoli di tal livello; né tale società privata può identificarsi con l’Università inglese, quale sua sede secondaria, anche perché, afferma la Suprema Corte, il corso presso la società privata “non consente di ottenere un titolo automaticamente valido anche in Italia atteso che è necessario il suo riconoscimento che non risulta che la Lasen abbia mai richiesto”

Avv. Daniela Carbone - Foro di Ascoli Piceno

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