TRASFERIMENTO DEL DIPENDENTE E INDICAZIONE DEI MOTIVI: UN COMMENTO ALLA GIURISPRUDENZA PIÙ RECENTE

di Livio Galla

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Normalmente, la prestazione di lavoro deve essere eseguita nel luogo stabilito dalle parti all’interno del contratto individuale.

Ciò nonostante, nell’esercizio del c.d. ius variandi, il datore di lavoro ha la facoltà di modificare unilateralmente il luogo di svolgimento della prestazione e trasferire il lavoratore presso una diversa sede.

Il limite per l’esercizio di tale potere è stabilito dall’art. 2103, ottavo comma, del Codice Civile, che subordina il trasferimento alla sussistenza di “comprovate ragioni, tecniche, organizzative e produttive”.

L’interpretazione dell’aggettivo comprovate ha generato, nel corso del tempo, diverse teorie.

Secondo una prima tesi, più risalente, l’efficacia dell’atto di trasferimento è condizionata da un onere contestuale e tempestivo di comunicazione dei motivi (Cass. SS.UU. 594/79).

Ciò significa che nel momento in cui viene disposto il trasferimento, devono essere immediatamente fornite le ragioni che lo giustificano. Una diversa opinione sosteneva, invece, l’applicazione analogica dell’art. 2 l. n. 604/1966, ritenendo che l’onere di giustificazione del datore sorgesse solo in seguito alla richiesta in tal senso da parte del lavoratore, come accadeva per il licenziamento. 

Dopo la riforma Fornero (l. n. 92/2012), che ha modificato il citato art. 2 e imposto che la giustificazione dell’atto di licenziamento debba essere contestuale alla sua irrogazione, non è più possibile sostenere l’applicazione analogica all’istituto del trasferimento del nuovo obbligo previsto dal novellato art. 2 l. 604/1966, ossia l’indicazione contestuale dei motivi, in quanto assegnerebbe al datore di lavoro oneri estranei al tenore letterale dell’art. 2103 c.c., unica norma in materia di trasferimento, che impone esclusivamente la sussistenza delle comprovate ragioni di cui sopra. 

Esclusa l’applicazione analogica, attualmente risulta prevalente una terza teoria, in forza della quale l’aggettivo comprovate avrebbe una valenza meramente processuale, per cui il datore di lavoro sarebbe tenuto ad esplicare le ragioni sottese al provvedimento solo nel caso di impugnativa giudiziale.

Pertanto, pur incombendo sul datore di lavoro la prova delle ragioni del trasferimento,  queste ultime non dovrebbero necessariamente essere inserite nell'atto che lo ha disposto.

Sempre secondo tale terza via, non sussisterebbe alcun obbligo del datore di rispondere alla richiesta avanzata dal lavoratore in ordine alle motivazioni del trasferimento (cfr. Cass. 43/07 e Cass. 807/17).


A ben vedere, questa soluzione mal si concilia con le esigenze di controllo della non arbitrarietà dell’atto di trasferimento, della immutabilità delle ragioni che lo giustificano e del nesso di causalità del provvedimento con la singola posizione lavorativa, esigenze che dovrebbero guidare l’interpretazione teleologica del Giudice e caratterizzare qualsivoglia provvedimento datoriale. 


In effetti, la legittimità dell’atto appare inscindibilmente collegata alle ragioni oggettive che devono supportare il trasferimento stesso, ovvero all’applicazione dei criteri di correttezza e buona fede che caratterizzano l’esecuzione del contratto di lavoro, i quali impongono quantomeno che il lavoratore sia portato preventivamente a conoscenza delle ragioni giustificanti l’esercizio dello ius variandi datoriale prima dell’impugnazione del relativo provvedimento. 

Tale soluzione lascerebbe, inoltre, al datore di lavoro la possibilità di ricostruire a posteriori una situazione a lui favorevole, con buona pace dei tentativi giurisprudenziali di evitare che il trasferimento possa essere strumentalizzato al fine di anticipare o mascherare la vera e propria risoluzione del rapporto di lavoro.
Sarebbe quindi un paradosso che una modificazione legislativa tesa a migliorare la condizione del lavoratore licenziato (ossia la c.d. riforma Fornero), si riverberi in una deminutio di tutela con riguardo all’ipotesi meno grave del trasferimento. 


Pertanto, è per i motivi suesposti che si condivide la diversa interpretazione in forza della quale il datore di lavoro non è obbligato a enunciare le ragioni del trasferimento contestualmente alla sua adozione, ma è certamente tenuto a farlo ove il lavoratore ne faccia richiesta nei termini previsti (Cass. n. 24260/2013), interpretazione accolta anche da alcuni Giudici di merito.


Più precisamente, con la sentenza n. 544/2018, il Tribunale di Vicenza, nella persona del Giudice dott. Campo, ha così statuito:

“una volta abbandonato il criterio dell’analogia legis, non si ritiene di dover aderire acriticamente al secondo filone citato [NdR: si riferisce al terzo indirizzo descritto nel presente articolo], con ciò negando la sussistenza di un onere di comunicazione antegiudiziale del datore (…). Occorre dunque fare ricorso ad un’interpretazione teleologica che valorizzi, in un’ottica improntata a buona fede e correttezza, la funzione delle “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, al fine di far conoscere preventivamente al lavoratore i motivi del trasferimento, quale presupposto fondamentale per l’esercizio del diritto di difesa. Un’interpretazione di tal fatta porta a concludere che le ragioni giustificative del trasferimento debbano essere contenute nel provvedimento stesso oppure, in alternativa, comunicate in un termine congruo e ragionevole, purché tempestivo, dalla richiesta del lavoratore in tal senso (sul punto cfr. Trib. Milano, 22/04/2016, in De Jure)”.

L’orientamento è stato confermato di recente con una ordinanza datata 18.01.2022, emessa nell’ambito di un procedimento ex art. 700 c.p.c., che ripercorre i ragionamenti appena citati e conclude per l’illegittimità del trasferimento disposto senza fornire le motivazioni, anche a seguito di richiesta in tal senso effettuata della lavoratrice coinvolta. 


Pur trattandosi di un’opinione piuttosto isolata nel panorama giuslavorstico italiano, chi scrive ritiene che tale interpretazione abbia il pregio di fornire una soluzione che maggiormente contemperi le diverse esigenze in gioco: da un lato, il datore di lavoro potrà esercitare lo ius variandi in base alle esigenze aziendali, con il solo onere di descrivere le ragioni che giustificano il trasferimento in caso di richiesta del lavoratore; dall’altro, il lavoratore potrà conoscere preventivamente i motivi del provvedimento, in modo tale da poter approntare un’adeguata difesa in caso di impugnazione, ma dovrà formulare apposita richiesta. 

 


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