SULLA DIVISIONE EREDITARIA DI UN EDIFICIO “ABUSIVO”

di Giovanni Francesco Basini

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Un’ampia e argomentata decisione delle Sezioni unite (Cass., S.u., 7.10.2019, n. 25021) ha, da nemmeno due anni, ridefinito la natura stessa della divisione ereditaria. Il caso concerneva la divisione di un edificio “abusivo”, oggetto di comunione ereditaria.

Ci si chiedeva se la divisione di quell’immobile “abusivo” doveva essere colpita dalle nullità previste dalla l. n. 47 del 1985 (e dal d.P.R. 380 del 2001).

Per decidere sulla validità della divisione ereditaria di un fabbricato “abusivo” è stata determinante la riconduzione di essa tra gli atti tra vivi, ovvero tra quelli mortis causa, giacché le fonti poco sopra richiamate colpiscono con nullità una buona parte degli atti tra vivi che incidano su diritti reali sopra edifici “abusivi”, ma non prevedono nullità per gli atti mortis causa che pure concernano edificazioni “abusive”.

Le Sezioni unite hanno statuito, al riguardo, che la divisione ereditaria è un atto tra vivi, e non, viceversa, un atto a causa di morte.

Da ciò deriva, pertanto, che, se l’edificio “abusivo” entra nella comunione ereditaria, non potrà (salvo casi particolari) poi divenire oggetto di valida divisione. Conviene ora ricordare sinteticamente alcune delle argomentazioni delle Sezioni unite.

Come è noto, in passato la giurisprudenza della Cassazione era nel senso che la divisione ereditaria non fosse colpita dalle nullità previste per gli atti incidenti su diritti reali sopra edifici “abusivi”, in quanto atto, se non proprio mortis causa, almeno non autonomo rispetto agli atti mortis causa, giacché conclusivo della vicenda successoria.

Si evidenziava, difatti, come l’art. 757 c.c. attribuisse alla divisione ereditaria chiara efficacia retroattiva, e da questo si derivava, che essa avesse natura soltanto dichiarativa, e non traslativo-costitutiva.

La divisione ereditaria, insomma, in quanto indicata dalla legge come retroattiva, sarebbe stata anche dichiarativa, e, dunque, nulla avrebbe potuto trasferire; essa si sarebbe posta, poi, come mero atto conclusivo della vicenda successoria.

Atto non inter vivos, e, quindi, atto non soggetto ad alcuna delle nullità sancite dalla legge per gli atti inter vivos su edifici “abusivi” (ad es.: Cass., 7.11.2017, n. 26351; Cass., 5.8.2011, n. 17061; Cass., 1.2.2010, n. 2313; Cass., 28.11.2001, n. 15133).

Per superare il sintetizzato orientamento precedente, in primo luogo, le Sezioni unite affermano che la divisione ereditaria è da assimilare alla divisione della comunione ordinaria, senza che la diversa origine della comunione muti la natura e gli effetti del negozio divisorio.

Se è la morte dell’autore del negozio, come determinante degli effetti di esso, che permette di qualificare un atto come mortis causa, poi, tale qualifica non può riguardare il contratto di scioglimento della comunione ereditaria, che produce i propri effetti per volontà degli eredi e indipendentemente dalla volontà (e dalla morte) del de cuius.

Ciò anche perché la divisione resta, in ogni caso, un atto eventuale, un atto che gli eredi potrebbero anche non compiere affatto.

In secondo luogo, le Sezioni unite contestano il dogma, secondo il quale l’atto con effetti retroattivi sarebbe anche atto meramente dichiarativo. All’opposto, difatti, proprio la previsione della retroazione degli effetti richiede, come presupposto logico, la costitutività/traslatività dell’atto.

Se l’atto si limita a dichiarare, in altri termini, non c’è bisogno di spostare all’indietro la decorrenza degli effetti di esso, perché già quella decorrenza è indietro nel tempo, tanto che l’atto stesso l’ha, appunto, soltanto accertata, e non prodotta. Non si può far retroagire, vale a dire, un effetto che già si è prodotto nel passato, e che l’atto unicamente accerta. Ove sia utile o necessario, viceversa, la legge dovrà fare retroagire un effetto che è stato prodotto successivamente, da un atto costitutivo/traslativo.

La previsione della retroazione degli effetti della divisione, di cui all’art. 757 c.c., in diverse parole, sarebbe insensata, se la divisione stessa fosse meramente dichiarativa.

Dalla “disposizione di cui all’art. 757 c.c. e dall’efficacia retroattiva dell’atto divisionale”, insomma, “non può argomentarsi la natura meramente dichiarativa del contratto di divisione ereditaria e, tantomeno, la sua natura di atto mortis causa” (così, ancora, Cass., S.u., 7.10.2019, n. 25021). Anche da questo deriva che gli atti di divisione delle comunioni ereditarie, che abbiano ad oggetto fabbricati “abusivi”, siano colpiti dalle nullità previste, per numerosi negozi inter vivos, dalla l. n. 47 del 1985 e dal d.P.R. 380 del 2001.

Giova anche ricordare, poi, che le Sezioni unite hanno opinato, sia per la indivisibilità pure giudiziale degli edifici “abusivi” in comunione ereditaria, sia per la sottrazione alle nullità ora mentovate dello scioglimento della comunione sull’edificio “abusivo”, il quale sia necessario nell’àmbito, o dell’espropriazione di beni indivisi, o di una procedura concorsuale che coinvolga tali beni.

Conviene rimarcare, infine, come le Sezioni unite abbiano ribadito che la divisione disposta dal testatore, di cui all’art. 734 c.c., – discendendo unicamente dalla volontà del testatore e producendo i propri effetti solo con la morte di questi e direttamente alla morte di questi – è certamente mortis causa.

Va sottolineato, allora, come una delle conseguenze di Cass., S.u., 7.10.2019, n. 25021, consista nel dar luogo ad una marcata convenienza, per chi abbia nel proprio patrimonio edifici “abusivi”, a provvedere alla ripartizione/attribuzione di essi direttamente per mezzo di un’adeguata disposizione testamentaria, come può essere la “divisione” disposta dal testatore, di cui all’art. 734 c.c. – oltre che, ovviamente, la disposizione che trasmetta il cespite a titolo particolare, vale a dire il legato –, così da prevenirne la caduta in una comunione ereditaria, lo scioglimento della quale potrebbe essere assai complesso.

Giovanni Francesco Basini - Università di Parma


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