Le norme che incidono sulla liberta’ personale non possono mai essere retroattive
24/02/2020
Stampa la pagina
Per la Corte Costituzionale l’applicazione retroattiva della “spazzacorrotti” è incompatibile con il principio di legalità delle pene
L’art. 1, co. 6, della legge 9.1.2019 n. 3, la c.d. spazzacorrotti, ha modificato l’art. 4-bis, co. 1, dell’ordinamento penitenziario inserendo alcuni reati contro la pubblica amministrazione nel novero di quelli che impediscono la concessione dei benefici penitenziari.
Di conseguenza, per effetto del richiamo del predetto art. 4-bis nell’art. 656, co. 9, c.p.p. l’ordine di esecuzione della condanna per uno dei delitti ivi elencati non può essere sospeso con il risultato che soltanto dopo l’ingresso in carcere il condannato può fare istanza di accesso ad una delle misure alternative al carcere.
Per inciso, in base alla citata legge, tale istanza è subordinata alla collaborazione del condannato a norma dell’art. 323-bis, co. 2 c.p.
In assenza di una disciplina di diritto intertemporale, si è posto il problema se tale modifica del trattamento sanzionatorio relativa ai delitti contro la pubblica amministrazione sia applicabile anche ai fatti commessi prima del 31 gennaio 2019, data di entrata in vigore della spazzacorrotti.
La risposta a questo quesito presuppone una chiara delimitazione del campo di applicazione del divieto di retroattività della legge penale sfavorevole.
In forza del principio enunciato dagli artt. 25, co. 2 Cost. e 2, co. 1 c.p., non solo l’introduzione di norme incriminatrici ma anche le modifiche peggiorative delle pene non possono avere alcun effetto retroattivo.
Peraltro, con riferimento all’irretroattività della pena è controverso se tale concetto si estenda anche alle disposizioni normative che, pur essendo di natura processuale, incidono direttamente su detta pena.
Si inserisce in questo contesto il problema della retroattività delle norme che disciplinano la concreta esecuzione della pena, fra le quali certamente rientrano le predette modifiche introdotte dalla spazzacorrotti.
Al riguardo, la dottrina è concorde nel ritenere che nel perimetro della irretroattività vanno ricomprese tutte le disposizioni che, a prescindere dal carattere sostanziale o processuale, influiscono negativamente sul trattamento sanzionatorio. E tali sono, certamente, le norme che escludono la sospensione dell’ordine di esecuzione della condanna o l’applicazione di misure alternative alla detenzione.
Tuttavia, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, le disposizioni che attengono soltanto alle modalità esecutive della pena, non avendo carattere sostanziale ma processuale, non soggiacciono alla regola dell’irretroattività sancita dall’art. 2 c.p.
A fronte di tale orientamento giurisprudenziale, il quale ammette la retroattività delle modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione, le novità introdotte dalla spazzacorrotti sono state applicate anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge n. 3/2019 nell’interpretazione seguita dalla giurisprudenza in base alla quale le preclusioni previste dal novellato art. 4-bis ord. pen. si applicano anche ai fatti pregressi, la Corte Costituzionale ha colto l’occasione per chiarire la portata del divieto di retroattività della pena.
Dal comunicato ufficiale del 12 febbraio 2020, si apprende che il Giudice delle leggi ha categoricamente affermato che «l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’art. 25, co. 2, della Costituzione».
Nell’attesa di leggere la motivazione, possiamo già segnalare che con questa pronuncia la Corte Costituzionale ha scritto, ancora una volta, una pagina di civiltà giuridica.
E’ infatti evidente che qualunque norma la quale determini una limitazione della libertà personale rientra a pieno titolo nel concetto intrinseco di pena. Costringere una persona ad espiare la propria condanna, anche solo in parte, in regime di detenzione prima di poter accedere ad una misura alternativa è una pena nel senso più naturale del termine, al di là della sterile distinzione se tale situazione punitiva derivi da norme sostanziali o processuali.
Chiarito il significato di pena, è appena il caso di osservare che nella sua discrezionalità politica il legislatore è libero di inasprire le sanzioni per i reati che ritiene meritevoli di una più severa punizione.
Tuttavia, nel rispetto dell’esigenza fondamentale di garanzia e di certezza del cittadino di fronte al potere statuale, qualsiasi pena non può mai essere applicata se non era prevista al momento della commissione del fatto.
Avv. Lorena Puccetti – Foro di Vicenza