La riforma copernicana del d.lgs 21/2018 mette il Codice al centro del sistema penale

di Lorena Puccetti

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Il nuovo art. 3-bis c.p., rubricato “Principio della incipio della riserva di legge” stabilisce che «Nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia».

Tale norma, la quale ancorché non di rango costituzionale esprime un principio generale idoneo ad incidere sulla futura produzione normativa in materia penale, si prefigge due obiettivi. Il primo è quello di una complessiva razionalizzazione della normativa penale volta a favorire una più agevole conoscenza dei precetti e delle sanzioni.

D’ora in poi, nuove fattispecie incriminatrici potranno essere collocate solo nel codice penale o in leggi di settore che disciplinino in maniera organica determinate materie. In secondo luogo, come sottolineato nella Relazione illustrativa che accompagna il decreto, il legislatore auspica che la riforma ponga le premesse per una riduzione dell’area dell’intervento punitivo.

In tal senso, la ritrovata centralità del codice penale, ponendo un freno alla proliferazione della legislazione penale, dovrebbe riassegnare alla pena il ruolo di sanzione per i soli fatti che violino beni di particolare rilievo. Peraltro, il decreto in esame non si è limitato a disporre un nuovo criterio per la legiferazione futura ma ha provveduto ad una riorganizzazione della normativa penale già esistente «attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale».

Per consentire detto inserimento, le disposizioni contenenti le fattispecie incriminatrici da collocare nel codice penale, sono state espressamente abrogate dall’art. 7 del citato decreto. Contestualmente, i reati corrispondenti a tali disposizioni sono stati posti all’interno del codice penale con conseguente previsione di nuovi articoli. Va da sé che il decreto legislativo ha inciso in modo significativo sul codice penale comportando l’aggiunta di diversi titoli di reato e la creazione, altresì, di un nuovo Capo I-bis all’interno del Titolo XII del Libro II, intitolato “delitti contro la maternità” e di una Sezione I-bis all’interno del Capo III del medesimo titolo relativa ai “delitti contro l’uguaglianza”.

All’esito di tale operazione, reati in precedenza previsti da disposizioni speciali si trovano oggi nel codice penale. A titolo esemplificativo, il delitto di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa, già contemplato dall’art. 3 del d.l. 122/1993, è ora previsto dall’art. 604-bis c.p. Il quadro completo delle disposizioni abrogate e riconvertite nelle corrispondenti disposizioni del codice penale è contenuto nella Tabella A allegata al decreto legislativo, che di seguito si riporta.

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Sotto il profilo della successione di leggi penali nel tempo, si osserva che l’abrogazione di fattispecie incriminatrici contestuale all’introduzione di nuove norme penali con il medesimo contenuto rappresenta una forma di c.d. abrogatio sine abolitione, senza soluzione di continuità tra le vecchie e le nuove disposizioni.

E’ proprio il caso del decreto in commento il quale, in conformità alle apposite indicazioni contenute sul punto nella legge delega, ha inteso effettuare una mera “traslazione” di fattispecie incriminatrici. Ed in effetti, a parte alcune trascurabili discordanze, i nuovi articoli del codice penale ripropongono esattamente il contenuto delle disposizioni abrogate.

Ad eccezione dell’art. 586-bis c.p., relativo al reato c.d. di doping, il quale non si limita a riprodurre fedelmente il testo dell’art. 9 della l. 376/200 ma inserisce il riferimento a un dolo specifico –ovvero il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»- non menzionato nel predetto art. 9. E’ bene evidenziare che l’art. 8, 1 co. del decreto ha precisato che «dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni abrogate dall’articolo 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale come indicato dalla tabella A allegata al presente decreto».

Oltre ad ampliare la parte speciale del codice penale, il decreto legislativo ha apportato delle modifiche anche alla parte generale. In particolare, previa abrogazione dell’art. 12-sexies, co. 1 e 2-ter del d.l. 306/1992, è stato inserito l’art. 240-bis c.p., in tema di confisca c.d. allargata al fine di porre all’interno del codice penale la fonte normativa di riferimento per tale ipotesi di confisca.

Anche in questo caso si tratta di un semplice trasferimento di norme con la precisazione che, risolvendo una questione controversa, il nuovo art. 240-bis c.p. ha chiarito che «in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge». Infine, va precisato che il decreto legislativo ha inserito nella parte generale disposizioni relative alle circostanze del reato.

In particolare, l’aggravante del reato transnazionale (art. 61-bis c.p.) nonché le circostanze aggravanti e attenuanti per i reati connessi ad attività mafiose (art. 416-bis.1 c.p.), in precedenza disciplinate dalle corrispondenti disposizioni che sono state abrogate, si trovano oggi nel codice Rocco.

Avv. Lorena Puccetti -Foro Di Vicenza

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