La Cassazione e il concetto di attività professionale

di Marcello Bella

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E ciò in quanto le cognizioni tecnico-giuridiche dell’avvocato costituiscono quel “quid” che gli permette di espletare attività non sempre – ed erroneamente – ritenute attività forensi. Difatti, come aveva già rilevato la Suprema Corte, ”è la oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività in concreto svolta dal professionista – ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima e sia, quindi, altrimenti esercitabile – a comportare l’inclusione dei relativi compensi tra i corrispettivi che concorrono a formare la base di calcolo del contributo soggettivo obbligatorio e del contributo integrativo dovuti alle Casse di previdenza; con la precisazione che, a tal fine, rileva anche la circostanza che la competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività in parola, nel senso che le prestazioni siano da ritenere rese (anche) grazie all’impiego di esse” (Cass., n. 14684/2012). Parimenti, era già stato affermato che il reddito professionale ed il volume d’affari, ai quali sono collegati i contributi da versare alla Cassa Forense, debbono essere frutto dell’attività professionale dell’avvocato o di attività ad essa connessa (Cass., n. 8835/2011, cit.).


La sentenza n. 11161/17 (depositata il 27 aprile 2017) decide su un ricorso proposto da un ingegnere volto ad accertare l’insussistenza dell’obbligo contributivo nei confronti di Inarcassa (Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti) relativamente all’attività di perito assicurativo. La Corte ha dichiarato infondato il ricorso in quanto ha ritenuto determinanti, nella fattispecie concreta, ai fini dell’individuazione del reddito da assoggettare all’obbligo contributivo, le conoscenze e le competenze intellettuali del professionista. La Corte chiarisce, quindi, che a determinare l’imponibile contributivo concorrono anche le attività professionali non tipiche, in quanto influisce sull’esercizio delle stesse la specifica formazione intellettuale di cui il professionista dispone. Principio fondamentale che determina l’obbligo di contribuzione, è, dunque, quello dell’”oggettiva riconducibilità” dell’attività svolta alla professione. La sentenza n. 10437/17 (depositata l’8 maggio 2017) si pronuncia sull’obbligo di contribuzione per un avvocato relativamente all’attività di assistenza e consulenza in materia di diritto internazionale, confermando, nella fattispecie, la sentenza di appello che aveva ritenuto la detta attività, anche se non rientrante strictu sensu nella classica attività forense, comunque attività strettamente riconducibile a quest’ultima e, come tale, assoggettabile alla contribuzione presso la Cassa Forense. Le sentenze in commento dirimono pertanto la vexata quaestio dell’assoggettabilità a contribuzione di tutte quelle attività “border line”, ossia non rientranti, a stretto rigore, tra quelle che la legge permette di esercitare ai soli iscritti agli albi professionali, optando per l’attrazione di tali attività tra quelle che concorrono a determinare il reddito professionale. La Suprema Corte ha ormai chiarito come a rilevare non sia solo la stretta riconducibilità dell’attività a quelle previste dalla legge, ma il sostanziale ed oggettivo nesso della stessa a quelle professionali tipiche, potendo tale nesso essere costituito da svariati fattori, quali l’effettiva necessità delle conoscenze specifiche proprie del professionista, configurandosi in tal caso l’effettivo esercizio professionale, ciò comportando, come conseguenza sul piano fiscale e previdenziale, l’obbligo di dichiarare i redditi derivanti da attività “non tipiche” quali redditi professionali. Analizzando tali principi in relazione alla professione forense, è evidente dunque come anche i redditi derivanti da attività comunemente ritenute non esclusive dell’avvocato (quali attività di assistenza e consulenza in varie materia, di consigliere di amministrazione, ecc.), allorquando siano svolte da un soggetto iscritto all’albo degli avvocati e si fondino sulle specifiche competenze richieste per l’iscrizione a tale albo, debbano imputarsi al reddito professionale. L’analisi ermeneutica condotta dalla Suprema Corte è particolarmente significativa alla luce della circostanza che la Cassa Forense procede periodicamente, per espressa disposizione normativa, all’accertamento dei dati reddituali comunicati dagli iscritti all’anagrafe tributaria. Peraltro, si consideri che l’art. 18, comma 12, del D.L. 98/2011 (convertito in Legge 111/2011) ha stabilito che “i soggetti che esercitano per professione abituale ancorché non esclusiva attività di lavoro autonomo tenuti all’iscrizione presso l’apposita gestione separata Inps sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali”, con la conseguente necessità di definire il concetto di “attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali”. La ratio di detta norma è infatti quella di delimitare il campo di applicazione della normativa relativa alla gestione separata INPS e di differenziarla dalle coperture assicurative delle attività il cui esercizio richiede l’iscrizione in un albo professionale. In tale ottica, la giurisprudenza di legittimità ha ampliato l’ambito della tutela previdenziale forense ad una serie di attività che, pur non essendo riservate per legge agli iscritti all’albo professionale, sono, tuttavia, riconducibili all’attività in concreto svolta dal professionista legale in ragione delle proprie competenze tecnico-giuridiche.

Avv. Marcello Bella – Dirigente Area giuridica e legale Cassa Forense

Dott.ssa Serena Mantegna - Tirocinante Ufficio Legale Cassa Forense

 

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