L’ APPLICAZIONE DELLE PENE SOSTITUTIVE NEI PROCEDIMENTI PENDENTI IN APPELLO ALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA RIFORMA CARTABIA: DUBBI INTERPRETATIVI

di Lorena Puccetti

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Riforma Cartabia: le nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi

La Riforma Cartabia, come è noto, ha completamente ridisegnato il quadro delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

In primo luogo, sono state eliminate la semidetenzione e la libertà controllata che la legge 689/1981 consentiva in relazione a sentenze di condanna a pena detentiva entro il limite rispettivamente di due anni e di un anno.

L’attuale art. 20 bis c.p. contempla le pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare, applicabili quando il giudice nel pronunciare una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ritenga di dover determinare una pena detentiva non superiore a quattro anni, e il lavoro di pubblica utilità in relazione a pene detentive non superiori a tre anni. Infine, la pena pecuniaria può sostituire le pene detentive fino ad un anno, mentre la predetta legge n. 689/1981 prevedeva il più ristretto limite di sei mesi.

La richiesta di pena sostitutiva in appello: come fare

È evidente, dunque, che le pene sostitutive hanno assunto un ruolo centrale potendo essere disposte in sostituzione di pene detentive i cui limiti sono stati considerevolmente elevati rispetto a quelli previsti in precedenza. Inoltre, a differenza delle misure alternative alla detenzione le quali possono essere disposte dal Giudice dell’esecuzione successivamente all’emissione dell’ordine di carcerazione, le pene sostitutive sono applicate direttamente dal Giudice di cognizione. Al riguardo, l’art. 545 bis c.p.p., introdotto dal d.lgs 150/2022, è volto a regolamentare la procedura di applicazione delle pene sostitutive che possono essere disposte esclusivamente dal Giudice di primo grado. Peraltro, l’art. 95 delle disposizioni transitorie, prevede la possibilità che le pene sostitutive «se più favorevoli» siano applicate anche ai procedimenti pendenti, sia in grado d’Appello sia innanzi la Corte di Cassazione, alla data di entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 ovvero il 30 dicembre 2022.

Con riguardo alla fase di legittimità, tre recenti pronunce hanno precisato il concetto di pendenza puntualizzando che la pronuncia del dispositivo da parte del Giudice dell’appello entro il 30 dicembre 2022 consente l’applicazione delle pene sostitutive ex art. 95 anche se il ricorso è stato presentato dopo tale data (Cass. Pen. Sez. IV, 26.9.2023 n. 43975, Cass. Pen., Sez. V,  28.6.2023 n. 37022 e Cass. Pen. Sez. VI, 21.6.2023 n. 34091). Dal punto di vista procedurale, l’art. 95 precisa che, per i procedimenti pendenti in Cassazione, l’istanza di applicazione di una pena sostitutiva deve essere presentata al Giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 666 c.p.p., mentre nulla viene specificato con riferimento alle modalità di presentazione della richiesta in sede d’appello. In assenza di specifiche indicazioni legislative, si registrano due opinioni diverse sulla forma con cui la richiesta di pena sostitutiva dovrebbe essere manifestata alla Corte d’Appello.

La Corte d'Appello deve dare avviso dell'applicazione delle pene sostitutive?

Secondo una prima lettura, affinché il Giudice d’Appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive si ritiene sufficiente che la richiesta dell’imputato intervenga nel corso dell’udienza di discussione. In tal senso, si è precisato che non può ritenersi che la richiesta di sostituzione «ove non formulata in sede di appello o di motivi nuovi sarebbe preclusa ai sensi dell’art. 597 c.p.p.»  e che tale richiesta è «da formulare non necessariamente con l’atto di gravame» (Cass. Pen., Sez. VI, 10.5.2023 n. 33027).

In base a una diversa, e più rigida interpretazione, la richiesta della pena sostitutiva non potrebbe essere avanzata in sede di conclusioni ma dovrebbe essere contenuta nell’atto d’appello o nei motivi aggiunti. E ciò perché «la possibilità di vedersi riconosciuto un trattamento più favorevole secondo quanto previsto dall’art. 545-bis c.p., poiché afferente a profilo strettamente sostanziale della disciplina penale, deve essere contemperata con le norme che disciplinano il rito di appello con particolare riferimento all’art. 597, comma 1, c.p.p. laddove limita l’ambito conoscitivo del giudice di secondo grado ai punti della decisione strettamente connessi ai motivi proposti (Cass. Pen. Sez. VI, 27.9.2023 n. 41313; Cass. Pen., Sez. VI, 21.6.2023 n. 34091)».

Con riguardo a tale elaborazione giurisprudenziale si obietta, in primo luogo, che la finalità dell’art. 95 è chiaramente quella di favorire il ricorso alle sanzioni sostitutive. In tal senso, la già citata pronuncia n. 37022/23, ha espressamente chiarito che «l’intentio legis è quella di voler garantire a tutti gli imputati con giudizio in corso la possibilità di un recupero della valutazione richiesta dall’art. 545-bis c.p.p. per l’applicazione dell’art. 20-bis c.p. e delle norme del capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, sia per i gradi di merito, operando con le regole processuali di nuovo conio, sia anche in sede di esecuzione per il grado di legittimità, evitando in ambedue i casi che debba attendersi che il pubblico ministero provveda ai sensi degli artt. 655 e ss c.p.p. prima di poter effettuare le valutazioni in tema di sostituzione della pena».   

Inoltre, premesso che l’applicabilità delle sanzioni sostitutive attiene ad un profilo sostanziale e non processuale, la riforma ha introdotto un regime più favorevole con conseguente retroattività della lex mitior. In tal senso, la richiamata pronuncia n. 43975/23 ha precisato che il regime di transizione «tiene conto della natura pacificamente sostanziale delle modifiche normative riguardanti il sistema sanzionatorio con conseguente loro assoggettamento al principio di irretroattività in malam partem (art. 25 Cost., comma 2) e di retroattività in bonam partem (art. 2 c.p., comma 4)». Ne consegue che l’orientamento più rigoroso finisce per ridurre l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più favorevole per il condannato senza che l’art. 95 autorizzi espressamente tale restrizione. Infatti, la norma transitoria si limita a stabilire l’applicabilità delle nuove sanzioni sostitutive anche ai procedimenti pendenti in appello alla data del 30 dicembre 2022, senza richiedere che la richiesta di tali misure sia formulata nell’atto di impugnazione.

Altra questione attiene al dubbio se la Corte d’Appello sia tenuta a dare avviso alle parti che ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva, come previsto dall’art. 545 bis c.p.p. nell’ambito del giudizio di primo grado. Mentre la citata pronuncia n. 33027/23 esclude che la Corte d’Appello debba dare tale avviso, la pronuncia n. 43975/23, precisando che «se alla data di entrata in vigore della legge il procedimento penale è pendente in appello deve trovare applicazione il sopra ricordato meccanismo processuale di cui all’art. 545-bis c.p.p.», sembrerebbe di diverso avviso. Ci si limita ad osservare che soltanto dopo che la Corte d’Appello ha confermato, o riformato, la sentenza di condanna di primo grado il condannato è effettivamente in grado di valutare l’opportunità di chiedere una sanzione sostitutiva. Quindi, per una questione di buon senso prima ancora che di interpretazione, dopo la pronuncia di condanna la Corte d’Appello dovrebbe dare il medesimo avviso che l’art. 545-bis c.p.p. prevede nell’ambito del giudizio di primo grado.

In definitiva, in base ad un’interpretazione rispettosa di quei princìpi di favor rei che informano la disciplina transitoria, da un lato deve escludersi che l’imputato sia tenuto a formulare la richiesta di pena sostitutiva mediante l’atto d’appello. Al contempo, è ragionevole ritenere che la Corte d’Appello, proprio al fine di incentivare l’applicazione delle sanzioni sostitutive ai procedimenti pendenti, dopo la lettura del dispositivo abbia l’obbligo di dare avviso alle parti che ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva.    

   


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