Il mantenimento del figlio maggiorenne: due recenti pronunce a confronto

di Marta Rovacchi

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E’ noto che l’art 337 septies c.c., introdotto dal d.lgs 28.12.2013 n. 154 stabilisce che il giudice, valutate le circostanze, può disporre a favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico.

Il potere discrezionale del Giudice, nonché le diverse teorie ed interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali in ordine al concetto di indipendenza economica, strettamente legato alla appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento del figlio, in modo coerente alle sue attitudini ed aspirazioni, hanno avuto come conseguenza la proliferazione di una copiosa giurisprudenza in materia.

In buona sostanza, se da una parte non si può non tenere conto che il cambiamento della realtà economico e sociale degli ultimi anni impone di tenere conto che il passaggio dei giovani all’”età adulto- lavorativa” ha subito un notevole ritardo rispetto agli anni passati, dall’altra parte è anche altrettanto vero che l’obbligo di mantenimento di un figlio maggiorenne in capo ad un genitore non può protrarsi ogni ragionevole limite.

Il compito di individuare, dunque, caso per caso, quando suddetto limite debba considerarsi superato, o quando il figlio è da ritenersi indipendente economicamente, esonerando conseguentemente il genitore dall’obbligo del suo mantenimento, è riservato al prudente apprezzamento del giudice. A questo proposito, pare interessante citare due recenti pronunce che paiono andare verso due indirizzi diversi.

Il Tribunale di Ancona con la sentenza n. 1301 del 12.7.2019, pronunciata nell’ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili di matrimonio, ha dichiarato cessato l’obbligo in capo al padre di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne, tra l’altro intervenuta in giudizio volontariamente per sostenere tale autonomo diritto. Nelle motivazioni della pronuncia di rigetto, i giudici anconetani, pur premettendo che sussiste in capo ai genitori l’obbligo di concorrere al mantenimento del figlio il cui corrispondente diritto si giustifica all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni e che, pertanto, tale obbligo non cessa fino a quando i figli non abbiano acquisito tutto il bagaglio necessario per inserirsi nel tessuto economico sociale, precisano al contempo che tale condizione non deve necessariamente verificarsi in concreto. Significa, a parere dell’organo giudicante, che non è necessario che il figlio percepisca redditi tali da consentirgli di provvedere autonomamente alle proprie esigenze, potendo infatti essere valutata in astratto in relazione al percorso ed alle opportunità che i genitori hanno offerto al figlio.

Tale orientamento recepisce il principio già espresso dalla Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 11952/2016) secondo il quale, una volta raggiunta una età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è concluso, la persistente mancanza di autosufficienza economica costituisce un indicatore di inerzia colpevole, al netto dei casi di oggettive problematiche di salute o altre peculiari contingenze personali.

Il principio di diritto richiamato nel caso di specie dal Tribunale di Ancona, in sostanza, è quello espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5088/2018 secondo cui la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che riguarda l’età, il conseguimento di competenza professionale e tecnica, l’impegno per la ricerca di una occupazione lavorativa e la condotta personale tenuta dal maggiorenne. In virtù di tale principio, i giudici del Tribunale di Ancona constatato che la maggiorenne in questione non ha specificato il suo percorso scolastico e di studi, che, pur dichiarando di essere disoccupata, dalla documentazione prodotta è risultato avere svolto l’attività di commessa regolarmente retribuita, hanno ritenuto la ragazza avere acquisito una professionalità generica adeguata comunque a svolgere attività lavorative tali da garantirle la autosufficienza economica. Con la ulteriore specificazione che, a parere del Tribunale, conformemente a quanto sancito dalla giurisprudenza di legittimità, se un maggiorenne, dopo avere raggiunto al autosufficienza economica, si trova a perdere i lavoro, tale circostanza non consente di rispristinare il diritto al mantenimento ma, eventualmente, solo quello agli alimenti (vd per tutte Cass. Civ. n. 1585/20014).

Per tutte le ragioni sopra esaminate, il Tribunale di Ancona ha dichiarato cessato l’obbligo del padre di contribuire al mantenimento della figlia ventiseienne. Utile alla riflessione giuridica è il cenno alla seconda sentenza in esame, ovvero alla pronuncia della Corte di Cassazione del 14.9.2019, depositata il 17.7.2019, che, invece, proprio sugli stessi principi sopra enunciati, ha respinto il ricorso di un padre che chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento a favore della figlia trentenne (all’epoca della sentenza di appello) esercente la professione di avvocato.

Gli ermellini hanno aderito all’accertamento svolto dai giudici di appello secondo i quali la figlia, completato il suo percorso formativo, la ragazza aveva iniziato a svolgere la attività di avvocato senza che gli introiti, tuttavia, la rendessero autosufficiente economicamente. In assenza, dunque, della prova del raggiungimento da parte del padre, in un futuro giudizio autonomo di revoca dell’assegno, da parte della figlia di un livello reddituale idoneo a farle acquisire l’autosufficienza economica, in capo al genitore permane l’obbligo alla prosecuzione del versamento dell’assegno di mantenimento a favore della maggiorenne.

Avv. Marta Rovacchi – Foro Reggio Emilia


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