IL DISEGNO DI LEGGE NORDIO PIÙ CHE UNA VERA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO PENALE, RAPPRESENTA UN MERO RITOCCO

di Lorena Puccetti

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge presentato dal Ministro Nordio, che prevede l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio e il ridimensionamento di quello di traffico di influenze illecite, nonché alcune modifiche al codice di procedura penale.

Con riferimento al codice penale, innanzitutto il disegno riscrive il delitto di traffico delle influenze illecite di cui all’art. 346-bis c.p.

In primis, viene penalmente sanzionato solo chi sfrutta «intenzionalmente» relazioni esistenti con un pubblico ufficiale mentre il semplice vantare tali relazioni non integra più la fattispecie in questione. In pratica, il millantato credito viene depenalizzato. Inoltre, in modo maggiormente conforme al principio di tassatività, la norma indica cosa si debba intendere per «altra mediazione illecita». In buona sostanza, con tale riformulazione si vuole perseguire l’obiettivo di impedire che condotte non inquadrabili nell’ambito della corruzione possano essere incriminate, in via residuale, in forza di una fattispecie evanescente.

È comunque l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio a costituire la proposta maggiormente significativa. Va ricordato che la modifica apportata in precedenza all’art. 323 c.p. dal d.l. 76/2000 convertito nella l. 120/2020, aveva già provveduto a restringere il perimetro dell’abuso d’ufficio in modo ragionevole. In particolare, esigendo la violazione di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» il decreto legge si era prefissato due obiettivi. Escludere che la violazione dei princìpi generali di buon andamento della pubblica amministrazione potesse integrare l’abuso d’ufficio e salvaguardare la discrezionalità amministrativa, sottraendo all’alveo dell’abuso d’ufficio le decisioni viziate dal c.d. eccesso di potere. Con tale riformulazione, il legislatore aveva voluto depenalizzare alcune condotte in precedenza riconducibili all’art. 323 c.p.

Tuttavia, pur a fronte di tale inequivocabile voluntas legis, da un lato l’orientamento della giurisprudenza in via interpretativa ha ritenuto applicabile l’abuso d’ufficio a condotte che non avrebbero più dovuto essere considerate come penalmente rilevanti. Al contempo, le Procure hanno seguitato ad instaurare procedimenti penali per abuso d’ufficio, inutili quanto estenuanti, per fatti chiaramente ormai depenalizzati. A questo punto, solo la radicale eliminazione dell’art. 323 c.p. potrà impedire definitivamente quel sindacato penale arbitrario che rischia di paralizzare l’attività della pubblica amministrazione. Ciò appare condivisibile, tenuto conto che a presidio del corretto esercizio dei poteri attribuiti ai pubblici funzionari, vi è tutto l’apparato degli altri delitti contro la pubblica amministrazione. E fermo restando che le condotte non inquadrabili nell’ambito di tali gravi  delitti, possono comunque essere giudicate e sanzionate sul piano amministrativo e disciplinare.

Quanto alle modifiche al codice di procedura penale, in primo luogo il disegno di legge interviene sull’art. 114 c.p.p. ampliando il divieto di pubblicazione del contenuto di intercettazioni che è consentito solo se «è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento». È altresì stabilito il divieto di rilascio di copia delle intercettazioni delle quali è vietata la pubblicazione, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori. Inoltre, a modifica dell’art. 268 c.p.p., è stabilito che il verbale delle operazioni di intercettazione non può riportare i dati personali «relativi a soggetti diversi dalle parti» ed inoltre è previsto lo stralcio dei dati relativi a tali soggetti. Viene dunque rafforzata la tutela della riservatezza dei terzi le cui conversazioni siano state intercettate anche se tale tutela è indebolita dal fatto che la «rilevanza ai fini delle indagini» consente tuttora di superare i citati divieti di cui all’ art. 268.

In tema di libertà personale, il disegno incide sull’art. 291 c.p.p. prevedendo che prima di disporre la misura cautelare il giudice proceda all’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Va precisato, peraltro, che tale adempimento è previsto solo se le esigenze cautelari attengono al pericolo di reiterazione dei reati e comunque con esclusione dei delitti indicati nell’art. 407, co. 2 lettera a), nell’art. 362, co. 1 ter, e di quelli commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale. In pratica, per vanificare tale disposizione è sufficiente che il provvedimento cautelare alleghi esigenze cautelari diverse da quelle di cui alla lettera c) o comunque relative alle categorie di delitti di maggiore allarme sociale.

È inoltre stabilito che, quando deve essere applicata una misura di sicurezza detentiva o la custodia cautelare in carcere il giudice per le indagini preliminari deve decidere in composizione collegiale come disposto dal nuovo comma 1 -quinquies dell’art.  328 c.p.p. Che a disporre della restrizione della libertà personale non possa essere un solo magistrato rappresenta, in termini di garanzia della libertà personale, un importante segnale. Tuttavia, proprio perché è in questione la tutela di diritti inviolabili, la necessità di adeguamento dell’organico non giustifica che la norma sia destinata ad entrare in vigore addirittura fra due anni.  

E ancora, ad integrazione dell’art. 369 c.p.p., il disegno prevede che l’avviso di garanzia contenga una «descrizione sommaria del fatto» e che non possa essere pubblicato fino al termine delle indagini preliminari.

Sempre con riguardo alle modifiche processuali, da ultimo si prevede che il pubblico ministero non possa appellare contro le sentenze di proscioglimento per i reati di cui all’articolo 550, commi 1 e 2 c.p.p. ovvero quelli a citazione diretta. È un dato di fatto che la riforma di una sentenza assolutoria, all’esito dell’appello della Procura, priva l’imputato della possibilità di un secondo giudizio di merito sulla condanna, residuando il solo ricorso di legittimità. L’introduzione del divieto di appello da parte del pubblico ministero è dunque apprezzabile anche se la limitazione ai soli reati di cui all’art. 550 ne limita fortemente l’effetto pratico. Come è noto, infatti, è proprio nei casi di reati gravi e non in quelli a citazione diretta che i pubblici ministeri si premurano di appellare le sentenze di proscioglimento.

In definitiva, l’intervento sul codice penale appare nel complesso positivo, anche se lacunoso soprattutto con riferimento al problema della prescrizione che è stato del tutto ignorato. Quanto alle modifiche al codice di procedura penale esse, anche se pregevoli in linea di principio, rappresentano  soltanto un punto di partenza nella direzione di un sistema processuale di stampo liberale e garantista.

In particolare, in tema di intercettazioni, è sconfortante che il progetto di legge non abbia affrontato lo spinoso problema dei colloqui tra difensore e assistito e non abbia adeguatamente aggravato le sanzioni per la violazione dei divieti previsti.

Infine, è ancora chiusa a chiave nel cassetto  la riforma che per i penalisti appare come la più significativa ovvero la necessaria separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti. Tuttavia, anche se una rondine non fa primavera, il disegno di legge sembra volersi lasciare alle spalle la brutta stagione del populismo giustizialista.

 


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