I PRINCÌPI AI QUALI DEVE ATTENERSI IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA NELLA CONCESSIONE DI UN PERMESSO PREMIO

di Lorena Puccetti

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Ai fini della concessione di un permesso premio, il Giudice di sorveglianza deve valutare il percorso carcerario del condannato e non i suoi princìpi morali Con sentenza del 30 marzo 2023, n. 1192, le cui motivazioni sono state depositate il 30 maggio, la Corte di Cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in materia di regime detentivo ostativo ex art. 4- bis dell’ordinamento penitenziario.

La vicenda riguarda la richiesta di un permesso premio, formulata da un condannato per reati commessi in un contesto di criminalità organizzata, e respinta dal Magistrato in ragione della perdurante professione di innocenza da parte del soggetto.

Ostinandosi a negare gli addebiti, secondo il Tribunale, il condannato non avrebbe intrapreso un percorso di concreta rivisitazione critica in una prospettiva risocializzante venendo quindi meno all’onere di provare la effettiva recisione del collegamento con gli ambienti malavitosi di provenienza. La Corte di legittimità, in accoglimento del ricorso, ha annullato l’ordinanza del Tribunale chiarendo i princìpi ai quali deve attenersi il Magistrato di sorveglianza nella concessione di un permesso premio.

Prima di illustrare le ragioni esposte nella pronuncia in commento, ai fini di un miglior inquadramento della questione, è opportuno ripercorrere le pronunce della Corte Costituzionale che hanno preceduto il decreto- legge n. 162/2022, vigente dal 31 ottobre 2022, in forza del quale sono state introdotte alcune modifiche all’ordinamento penitenziario.

Innanzi tutto, con la sentenza n. 253 del 2019, era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del previgente art. 4- bis, 1 co., ord. pen. nella parte in cui impediva la concessione dei permessi premio ai condannati non collaboranti, anche qualora avessero dato prova di partecipazione al percorso rieducativo e fossero stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità della partecipazione all’associazione criminosa.

Secondo la Corte Costituzionale, l’illegittimità costituzionale della norma risiedeva nella previsione di una presunzione assoluta in base alla quale il detenuto che non collabora con la giustizia deve ritenersi ancora collegato all’associazione criminale.

Successivamente, con l’ordinanza n. 97 del 2021 la Corte Costituzionale aveva sollecitato il Parlamento ad intervenire sulla materia con una regolamentazione che, in luogo della presunzione assoluta, prevedesse un iter istruttorio volto a sondare le ragioni della non collaborazione del detenuto, al fine di verificare se il silenzio dovesse ritenersi effettivamente riconducibile ad un perdurante legame del detenuto con l’organizzazione criminale. Infine, con la sentenza n. 20 del 2022 la Corte Costituzionale aveva ribadito che la regola probatoria rafforzata a carico dell’ergastolano non collaborante si giustifica per la necessità che venga esclusa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.

In buona sostanza, il Giudice delle leggi aveva a più riprese rimarcato che il criterio dirimente per la concessione o meno dei benefici penitenziari ai condannati per reati ostativi è costituito dalla assenza di collegamenti del soggetto con la criminalità organizzata.

A seguito di tali pronunce, il decreto-legge 162/2022 ha corretto l’art. 4-bis, co. 1-bis, ord. pen., provvedendo a modificare la norma in modo tale da consentire al detenuto che, pur non essendo collaborante, aspiri ai benefici penitenziari, di superare la presunzione assoluta di pericolosità allegando elementi tali da escludere «l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».

Premesso tale quadro giurisprudenziale e normativo, e tornando alla pronuncia in esame, il Tribunale di Roma ha affermato che la mancata assunzione di responsabilità da parte del condannato, con conseguente mancata collaborazione dichiarativa con le istituzioni, si traduce nel mancato assolvimento dell’onere probatorio inerente la fattuale recisione dei contatti con gli ambienti della criminalità organizzata. La Corte di Cassazione ha correttamente osservato che, così argomentando, il Tribunale ha finito per trascurare che ai fini della concessione del permesso premio va dato adeguato rilievo all’efficacia del percorso rieducativo intrapreso dal condannato.

Nel caso specifico, il soggetto richiedente aveva sempre tenuto una ineccepibile condotta intramuraria, partecipando all’attività lavorativa e alla formazione didattica sino a conseguire la laurea.

Come precisato altresì nella motivazione, il Magistrato di sorveglianza deve limitarsi a valutare gli elementi “individualizzanti” che connotano il percorso carcerario del soggetto al solo scopo di verificare la sua propensione «a recidere i collegamenti criminali e a non riannodarli» senza perseguire il «rinvenimento di una intima e personalissima emenda da parte del condannato».

In conclusione, la Corte di Cassazione ha sottolineato che il Tribunale deve verificare la meritevolezza dei benefici da parte del condannato valutando gli elementi di fatto che delineano la condotta intramuraria del detenuto, senza addentrarsi in valutazioni di tipo morale che esulano dal piano giuridico.

Questa pronuncia, la quale si pone in continuità rispetto alla precedente Cass. Pen. 28.2.2022, n. 19536, offre una chiave interpretativa del nuovo dettato normativo di cui all’art. 4-bis, co. 1-bis, ord. pen., come novellato dal citato decreto-legge 162/2022. Infatti, detta norma specifica che i benefici possono essere concessi ai detenuti purché «alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».

La genericità del tenore normativo aveva posto il dubbio di quali fossero quegli elementi “diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria” da tenere in considerazione per la valutazione della pericolosità ai fini della concessione dei benefici penitenziari.

La Corte di Cassazione, ha ribadito che il Magistrato di sorveglianza deve vagliare gli elementi concreti che siano indicativi della mancanza di attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

E tale verifica, la quale deve essere «parametrata all’insieme complessivo degli elementi emersi e condotta attraverso un esame ad ampio raggio dei comportamenti serbati» deve svolgersi esclusivamente in relazione ad elementi fattuali.

In conclusione, la pronuncia rappresenta una bella pagina di civiltà giuridica che impone al Magistrato di sorveglianza di prendere la propria decisione mantenendo la valutazione sul piano oggettivo senza indulgere in giudizi di natura etica che non gli competono.


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