Deducibilità ai fini fiscali dei contributi previdenziali
09/10/2017
Stampa la paginaInoltre, l’articolo 50, comma 1, del summenzionato D.P.R. n. 917/1986, stabilisce che il reddito relativo alle libere professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e quello delle spese sostenute nel periodo di imposta nell’esercizio della professione. In merito ai contributi soggettivi erogati alla Cassa di previdenza ed assistenza di categoria da parte dei liberi professionisti, questi costituiscono un onere dovuto a posteriori e, quindi, una conseguenza del reddito prodotto e non già una spesa necessaria per la produzione del reddito che come tale è deducibile ai sensi dell’art. 50 del sopra citato Decreto del Presidente della Repubblica; sul punto, l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 79/E del 2002, ha chiarito che i contributi non possano essere considerati quali oneri sostenuti in connessione con l’esercizio professionale, dal momento che sono versati a garanzia di una posizione pensionistica ed assistenziale essendo collegati solo alla sfera personale del professionista. A conferma di tale tesi, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la recentissima sentenza n. 661/7 del 2017, ha affermato, in merito al contributo obbligatoriamente versato dai notai al proprio ente previdenziale per gli atti soggetti ad annotazione nei repertori ed in proporzione agli onorari percepiti che rivestono natura previdenziale ed assistenziale, che essi “tendono ad assicurare al professionista il diritto alla pensione e ad una assistenza socio-sanitaria in occasione di malattia e/o infortuni” e che, se tale è la natura del suddetto contributo, è, ovviamente, “avulso dal processo produttivo in senso proprio, non potendosi configurare un rapporto di causa ed effetto tra due diverse e autonome sfere di operatività”. Inoltre, ha chiarito che “solo i costi sostenuti in funzione della produzione, ovvero le spese inerenti alla produzione del reddito professionale, possono essere dedotti dal reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 54 del TUIR e, per l’effetto, tale articolo, nel determinare il reddito di lavoro autonomo, “nulla dice in ordine alla possibilità di dedurre siffatto contributo dai compensi percepiti; al contrario dell’articolo 10 dello stesso TUIR che espressamente ne prevede la deducibilità dal reddito complessivo”. Di diverso orientamento è stata la Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza che, nella sentenza n. 222 del 2017, ha affermato che il contributo repertoriale dovuto alla Cassa Nazionale del Notariato è un componente negativo deducibile dal reddito professionale, richiamando, inoltre, precedenti sentenze della Suprema Corte che, con riferimento a vicende che avevano coinvolto notai e la corresponsione dei contributi previdenziali al relativo ente di previdenza, hanno affermato che detti contributi non sono deducibili dal reddito complessivo, ma solo dal reddito di lavoro autonomo, ritenendo gli stessi inerenti all’esercizio dell’arte o della professione, in quanto “immediata derivazione del reddito prodotto” (Cass., Sez. Tributaria, 26 febbraio 2001, sent. n. 2781; Cass., Sez. Tributaria, 12 marzo 2001, n. 3595 e 3596, Cass., Sez. Tributaria, 27 gennaio 2009, ord. n. 1939).
Da quanto sopra emerge, dunque, un contrasto nell’interpretazione delle norme in materia di deducibilità dei contributi previdenziali versati a cura dei liberi professionisti, ma in particolare dei notai; sul punto, è importante rilevare che il principio di diritto innanzi esposto, in ordine alla deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito professionale dei notai, è stato pronunciato dalla Suprema Corte nella sentenza del 2001 n. 2781 solo incidentalmente per affermare, in concreto, il principio dell’ineludibilità della deduzione di tali contributi. Inoltre, è necessario osservare la diversa natura giuridica dei contributi previdenziali che fanno carico ai notai rispetto a quella dei contributi previdenziali a carico degli altri liberi professionisti: i primi vengono riscossi direttamente dagli Archivi notarili, in quota parte rispetto agli onorari repertoriali, e gli stessi uffici provvedono al loro versamento mensilmente, mentre per gli altri liberi professionisti i versamenti vengono effettuati direttamente dai professionisti. Quindi, i contributi dei notai sono dovuti mensilmente in relazione all’attività svolta e sono calcolati direttamente in relazione ad essa ed indipendentemente dall’effettiva riscossione del corrispettivo della prestazione; in sostanza il contributo non costituisce un posterius rispetto all’attività professionale, ma è contestuale ad essa. Ne discende, quindi, che la pronuncia n. 2781/2001 della Corte di Cassazione sopracitata potrebbe ritenersi conforme alla disciplina normativa in tema di previdenza notarile, ma, per ciò stesso, non applicabile né estensivamente, né in via analogica alla disciplina degli altri liberi professionisti. Ciò posto, sotto un profilo di inquadramento della giurisprudenza di merito e di legittimità pronunciatasi sull’argomento, non può sottacersi l’autorevole orientamento espresso al riguardo dal Giudice delle leggi, sebbene incidentalmente, allorché ha trattato della “previsione normativa, razionale nel sistema tributario, della possibilità che l’importo del contributo versato sia portato dal notaio in detrazione dal reddito imponibile per il corrispondente anno d’imposta al fine di evitare una doppia imposizione (art. 10, comma 1, lett. e) del D.P.R. m. 917 del 1986)” (Corte Cost., 4 febbraio 2000, n. 25). Da tale pronuncia della Consulta emerge, dunque, un indirizzo decisamente contrario a quello prospettato dalla Suprema Corte, in quanto testualmente è affermata la deducibilità dei contributi previdenziali in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 10, comma 1, lett. e), del D.P.R. 917/1986 e, dunque, dal reddito complessivo. Diverso il caso relativo ai contributi versati per il riscatto degli anni per il periodo di corso di laurea, di servizio militare e per il periodo di praticantato, per i quali l’interpretazione è pacifica. Infatti tali contributi previdenziali “versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza” come previsto dal succitato art. 10, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 917/1986, sono pacificamente deducibili dal reddito complessivo. Nel caso in cui tali contributi, però, risultassero superiori al reddito complessivo ai fini IRPEF, la differenza, però, non potrà essere portata in deduzione l’anno successivo, in quanto a tali contributi si applica il c.d. principio di cassa, secondo il quale solo i compensi percepiti durante il periodo d’imposta concorrono alla formazione del reddito complessivo. Proprio secondo questo principio, sarà più facile per i contribuenti dedurre tali importi versati a titolo di contributi nell’ipotesi di rateazione del versamento delle somme dovute per il riscatto in quanto tale deducibilità potrà essere utilizzata per ogni anno di versamento dei contributi rateizzati. Alla luce di quanto sopra, si può affermare la deducibilità integrale del contributo soggettivo pagato alla Cassa Forense dal reddito complessivo ai fini IRPEF, in ossequio all’espressa previsione normativa di cui all’articolo 10, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 917 del 1986 e non dal reddito professionale (art. 50 del D.P.R. n. 917/1986), giacché, in caso contrario, avrebbe luogo il versamento di una contribuzione inferiore a quanto dovuto (Tribunale di Trieste, sent. 28 aprile 2004, n. 152).
Ludovica Dickmann – Tirocinante Ufficio Legale Cassa Forense
Marcello Bella – Dirigente Area giuridica e legale Cassa Forense