COMPATIBILITÀ TRA LAVORO DIPENDENTE E CARICHE SOCIALI
09/07/2025
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Un amministratore delegato di una società di capitali può, contemporaneamente, svolgere attività di lavoro subordinato per la stessa società?
Per rispondere a questa domanda occorre analizzare preventivamente la natura dei due ruoli.
È ormai consolidato l’orientamento secondo cui l’amministratore di una società di capitali è legato alla compagine sociale da un rapporto di immedesimazione organica.
Come chiarito dalla Suprema Corte (Cass. civ. S.U. n. 1545/2017), infatti, all’amministratore spetta la gestione dell’impresa. Il fatto che l’amministratore sia l’organo esecutivo della società, deputato a garantire il corretto funzionamento e il perseguimento del suo scopo, comporta che egli non possa essere considerato come un soggetto terzo rispetto alla società stessa (Cass. civ. n. 22046/2014; Cass. civ. n. 2759/2016).
Il lavoratore dipendente, invece, è assoggettato al potere direttivo, disciplinare e organizzativo dell’imprenditore, essendo obbligato, in cambio della retribuzione, alla prestazione della propria attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro (si tratta della c.d. eterodirezione).
Tanto premesso e tornando al tema principale oggetto di approfondimento, la qualità di socio e amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, trattandosi, come detto, di due rapporti distinti, purché vengano rispettate alcune indicazioni, fornite sia dalla giurisprudenza di legittimità, sia dall’INPS (interessato dal momento che il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato esplica effetti anche ai fini delle assicurazioni obbligatorie previdenziali e assistenziali).
Il primo aspetto da tenere in considerazione attiene al concreto assoggettamento dell’amministratore-dirigente alle direttive e al controllo del datore di lavoro.
Affinché ciò accada, è necessario che l’organo amministrativo sia collegiale e quindi formato da una pluralità di membri. È escluso, in altre parole, che l’amministratore unico possa instaurare un rapporto di lavoro subordinato con la società che è chiamato ad amministrare in solitaria. Se così fosse, si troverebbe ad essere datore di lavoro di sé stesso e verrebbe quindi meno il vincolo di subordinazione, il cui cardine è, come detto prima, l’eterodirezione.
Nel caso di amministratore unico, l’assenza di una relazione intersoggettiva capace di distinguere tra organo direttivo della società e lavoratore ha portato la Cassazione a sancire l’incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente e la carica di amministratore unico della medesima società (Cass. civ. n. 24188/2006 e n. 36362/2021).
In caso, invece, di amministratore delegato (non unico), diventa rilevante valutare caso per caso la portata della delega conferita dal Consiglio di Amministrazione.
Qualora la delega sia generica con facoltà di agire senza il consenso del CdA, non sarà possibile intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società. Se invece viene attribuito all’AD il solo potere di rappresentanza ovvero specifiche e limitate deleghe, sarà più agevole configurare una compatibilità con un rapporto di lavoro subordinato. Prendiamo il caso di un amministratore delegato con rappresentanza che, all’interno di una società con una pluralità di amministratori, sia titolare di deleghe specifiche per la conclusione di contratti e per la gestione del personale impiegatizio e operaio.
Qualora detto amministratore fosse anche dirigente della medesima società, affinché il rapporto di lavoro subordinato sia compatibile con la carica sociale, è necessario che la gestione del rapporto dirigenziale sia affidato ad altro organo sociale come, ad esempio, il Presidente del CdA.
Ricapitolando: affinché possano coesistere un rapporto di lavoro subordinato e una carica amministrativa all’interno della stessa società è necessario che:
- il potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo collegiale di amministrazione e non a un singolo;
- venga fornita la prova del vincolo di subordinazione e dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere (disciplinare, organizzativo, direttivo e di controllo) di un altro soggetto, ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale. L’onere della prova è a carico del lavoratore/amministratore che invochi la sussistenza della subordinazione. (Cass. civ. n. 18414/2013; Cass. civ. n 14023/2015; Cass. civ. n. 22689/2018).
Infine, ma non ultimo, è necessario che le mansioni legate alla qualifica di lavoratore subordinato siano diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita (Cass. civ. n. 36362/2021 e n. 5318/2025). In altre parole, le mansioni dirigenziali (o impiegatizie) concretamente svolte non devono essere ricomprese nei poteri derivanti dalla carica ricoperta o dalle deleghe conferite.