Cassazione: falsa dichiarazione su incarichi pubblici legittima il licenziamento per giusta causa
15/12/2025
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Nel contesto del pubblico impiego, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della compatibilità tra più rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche e le conseguenze di dichiarazioni non veritiere rese in sede di assunzione.
La Suprema Corte , con la sentenza n. 26049 del 24 settembre 2025, ha stabilito che la dichiarazione mendace da parte di un docente che omette di comunicare un secondo incarico pubblico a tempo parziale costituisce di per sé motivo sufficiente per il licenziamento per giusta causa.
Il caso riguarda una docente di lingua inglese che, dopo anni di supplenze nella scuola secondaria e incarichi come collaboratrice esperta linguistica (CEL) presso l’Università di Foggia, era stata stabilizzata da quest’ultima nel 2018 con contratto part-time. Tuttavia, al momento della stipula del contratto, la docente aveva dichiarato di non avere altri rapporti di impiego pubblico, nonostante fosse già docente di ruolo presso un liceo statale dal 2015, seppur con un impegno settimanale limitato a due ore.
Nel 2021, l’Università di Foggia ha avviato un procedimento disciplinare, conclusosi con il licenziamento per giusta causa, ai sensi dell’art. 55-quater del D.lgs. 165/2001, contestando alla lavoratrice la falsità della dichiarazione resa all’atto dell’assunzione.
La docente ha impugnato il provvedimento, sostenendo l’insussistenza di incompatibilità tra i due incarichi, richiamando l’art. 53 del D.lgs. 165/2001 e la giurisprudenza della Cassazione (sent. n. 22497/2022), secondo cui l’autorizzazione preventiva non sarebbe necessaria per incarichi marginali e compatibili. La Corte d’Appello di Bari ha però confermato il licenziamento, ritenendo che la sanzione fosse giustificata non tanto dalla violazione del divieto di cumulo, quanto dalla dichiarazione mendace resa in sede di assunzione, che aveva consentito alla docente di accedere alla procedura di stabilizzazione prevista dall’art. 20 del D.lgs. 75/2017, riservata ai lavoratori precari.
La Corte ha sottolineato che la falsità dichiarativa, reiterata anche nella dichiarazione sostitutiva ex art. 45 del D.P.R. 445/2000, integrava una condotta grave e intenzionale, idonea a ledere il vincolo fiduciario. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ribadendo che la ratio decidendi della Corte territoriale si fondava esclusivamente sulla falsità dichiarativa, e non sulla questione della compatibilità tra i due impieghi.
La Suprema Corte ha inoltre respinto la domanda di pagamento della retribuzione per il mese di novembre 2021, rilevando che la docente non aveva fornito prova dell’attività svolta, come richiesto dal contratto individuale.
La decisione conferma un orientamento rigoroso in tema di trasparenza e correttezza nelle dichiarazioni rese dai dipendenti pubblici, soprattutto in sede di accesso a procedure di stabilizzazione.