SUPERAMENTO DEI MASSIMI TARIFFARI….ED ILLECITO DEONTOLOGICO

di Leonardo Carbone

Stampa la pagina
foto

In ordine al compenso spettante al professionista per l’attività professionale, l’art. 2233 cod. civ. pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione del compenso spettante al professionista, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta tra le parti, in difetto alla tariffa (ma ora ai parametri) o agli usi e in ulteriore subordine rimettendone la determinazione al giudice, previo obbligatorio parere (non vincolante) dell’ordine professionale (Cass. 5 gennaio 2011, n. 236).

L’autonomia negoziale delle parti nella determinazione del compenso non incontra, quindi, alcun limite. Infatti, deve ritenersi valida la convenzione tra professionista e cliente che stabilisce la misura degli stessi in misura superiore ai massimi tariffari (Cass. 10 ottobre 2018 n. 25054).

 E’ da ritenersi ormai consolidato l'orientamento giurisprudenziale nel senso che per la determinazione del compenso dell'avvocato, anche dopo l'abrogazione delle tariffe, il riferimento primario è costituito ancora dall'art. 2233 c.c., che disciplina la materia del compenso del professionista.

E con un accordo scritto le parti possono stabilire per le prestazioni professionali, un compenso eccedente i massimi della tariffa professionale.

La possibilità di  pattuire il compenso in misura superiore al massimo tariffario è prevista anche sulla base delle tabelle parametriche. Si è infatti affermato (Cass.4 febbraio 2021 n.2631; Cass. 10 ottobre 2018 n.25054; Cass. 23 maggio 2000 n.6732; Cass., sez.un., 26 febbraio 1999 n.103; Cass. 5 luglio 1990 n.7051) che in materia di onorari di avvocato deve ritenersi valida la convenzione tra professionista e cliente che stabilisce la misura degli stessi in misura superiore ai massimi tariffari, posto che l’art.2233 cod. civ. pone una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo l’accordo delle parti ed in via soltanto subordinata le tariffe professionali, ovvero gli usi.

Con riferimento alla pattuizione del compenso avvocato-cliente, è opportuno evidenziare che l'art. 1, comma 141, lett. d), l. 4 agosto 2017 n. 124 ha modificato l'art. 13, 5° comma, l. n. 247 del 2012, rendendo per l'avvocato obbligatorio il preventivo in forma scritta dei costi della prestazione professionale e trasparente la fase di avvio dei rapporti con i propri clienti. In base alla citata normativa, l'avvocato ha l'obbligo, al momento del conferimento dell'incarico, di fornire al cliente un preventivo scritto sulla prevedibile misura del costo della prestazione, e cioè rendere nota al cliente la misura del compenso per l'attività da svolgere, distinguendo tra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale (per tale inadempienza l'art. 27, 2° comma, cod. deontologico forense prevede la sanzione disciplinare dell'avvertimento); in mancanza di “preventivo” si applicano le tabelle parametriche.

 In ordine al superamento dei massimi tariffari/parametrici occorre, però, una particolare “attenzione” da parte dell’avvocato, in quanto non bisogna “esagerare” per non incorrere in illecito deontologico. L'avvocato, infatti, non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all'attività svolta o da svolgere; pur essendo libera la pattuizione del compenso avvocato-cliente, il compenso deve essere sempre rapportato alla «entità» della prestazione svolta, non essendo giustificabile la richiesta da parte dell'avvocato di un compenso «eccessivo» rispetto al lavoro svolto.

 In ordine al rapporto parcella concordata con il cliente ed illecito deontologico, occorre evidenziare, l'art. 29, 4° comma, del vigente codice deontologico forense stabilisce che l'avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all'attività svolta; sussiste, quindi, la responsabilità deontologica dell'avvocato anche quando i compensi siano stati concordati con il cliente (Cons. naz. forense 2 marzo 2014, n. 181; Cons. naz. forense 25 febbraio 2013, n. 9;Cons. naz. Forense  28 dicembre 2012, n. 293; Cons. naz. forense 27 maggio 2013, n. 78). E’ininfluente l'eventuale preventiva pattuizione dei compensi con il cliente, dovendosi comunque valutare se, nel caso concreto, quelli pattuiti siano sproporzionati rispetto all'attività effettivamente svolta.

 La valutazione del rispetto del principio di proporzionalità nella richiesta dei compensi deve essere effettuata con esclusivo riferimento all'attività concretamente svolta, anche a prescindere da eventuali pattuizioni con il cliente.

I patti relativi alla predeterminazione dei compensi dell'avvocato, pur se di per sé validi, non possono quindi prevedere compensi sproporzionati all'attività concordata o, in ogni caso, all'attività concretamente svolta.

 

Avv. Leonardo Carbone - Direttore Responsabile della Rivista

Altri in AVVOCATURA