ASPETTI ECONOMICI, FISCALI E CONTRIBUTIVI DELLA PRATICA FORENSE
23/10/2024
Stampa la paginaDopo la laurea in giurisprudenza, la pratica forense rappresenta a tutti gli effetti il primo lavoro di moltissimi giovani, tenuti a confrontarsi di conseguenza con tutta quella galassia di problematiche relative ai compensi, ai contributi previdenziali e agli adempimenti fiscali connessi ad ogni attività lavorativa.
Il riferimento non è qui a quel “rimborso spese" di cui parla l’art. 41, comma 1, l. 247/2012, che “è sempre dovuto” al praticante, per il quale non è richiesto nessun approfondimento dato che la sua percezione non è connessa né al versante previdenziale, né a quello fiscale/tributario.
In questo contributo, l’analisi si attaglia invece a tutte quelle situazioni nelle quali il praticante avvocato, magari medio tempore abilitatosi all’esercizio del patrocinio sostitutivo ex art. 41, comma 12, l. 247/2012 e divenuto altresì un po’ più esperto e sicuro dei propri mezzi, decide di (o viene caldeggiato ad) aprire una partita IVA, divenendo a tutti gli effetti un libero professionista soggetto a imposizione tributaria e a contribuzione previdenziale.
Ma come si apre la partita IVA? E quando si devono pagare le tasse? E i contributi? Andiamo con ordine.
L’apertura della partita IVA
L’apertura della partita IVA è un adempimento formale che passa per il tramite dell’Agenzia delle Entrate, mediante una autodichiarazione alla quale seguirà l’attribuzione di un numero di partita IVA da parte dell’Agenzia e la registrazione del praticante avvocato negli archivi dell’anagrafe tributaria.
È un adempimento necessario per poter percepire un compenso adeguato e parametrato alle ore passate in studio, nonché al valore del proprio lavoro, senza il quale il praticante sarebbe destinato a ottenere solamente il rimborso delle spese sostenute.
Il pagamento dell’IRPEF
L’apertura della partita IVA, con la percezione di un compenso professionale, impone al praticante il pagamento di un’imposta sul reddito prodotto. Ma in che misura?
Dal punto di vista tributario, il praticante avvocato che si affaccia al mondo del lavoro rientra senza dubbio nel regime fiscale denominato “forfetario”, che determina il pagamento di un’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) sostitutiva fissa in luogo dell’imposta progressiva a scaglioni, riducendo la pressione fiscale su chi inizia una nuova attività.
A tal proposito, premesso che l’imposta sostitutiva forfetaria base è fissata al 15% per tutti i contribuenti che non percepiscano più di 85.000 euro annui (oltre i quali scattano le aliquote progressive classiche dell’IRPEF), il regime fiscale del praticante avvocato all’inizio della propria carriera è il forfetario con imposta sostitutiva al 5%, che verrà applicata per i primi 5 anni di attività, dopo i quali verrà applicata l’imposta al 15% (sempre che il professionista non sia arrivato medio tempore a percepire più di 85.000 euro annui).
Il praticante, dunque, sarà tenuto a versare all’Erario il 5% di imposta sui compensi percepiti, con versamento da eseguirsi l’anno successivo rispetto a quello di percezione: se l’apertura della partita IVA avviene, ad esempio, nel 2024, l’IRPEF del 2024 verrà versata nel 2025, e così via.
La Cassa Forense
Ciò detto con riferimento a compensi e imposizione tributaria, è noto che a fianco della retribuzione e della contribuzione fiscale un ruolo molto importante nel mondo dell’avvocatura è assunto altresì dalla contribuzione previdenziale, la cui gestione è affidata a Cassa Forense.
L'aspetto previdenziale, sebbene interessi maggiormente gli avvocati abilitati (i quali, ai sensi dell’art. 1 del Regolamento Unico della Previdenza Forense, sono obbligati ad iscriversi a Cassa Forense), diviene un completamento fondamentale dell’esperienza del praticante avvocato, il quale sin dall’inizio della propria pratica può iniziare a contribuire alla formazione del proprio credito pensionistico.
A tal proposito, l’art. 5, comma 1, del Regolamento Unico della Previdenza Forense, deliberato dal Comitato dei Delegati di Cassa Forense in data 23 novembre 2018, dispone la facoltatività dell’iscrizione alla Cassa per il praticante avvocato: "L'iscrizione alla Cassa è facoltativa per tutti gli iscritti nel Registro dei Praticanti Avvocati”.
È chiaro che l’iscrizione a Cassa Forense, e il conseguente obbligo di versare i contributi, diviene un onere aggiuntivo sulle finanze già poco generose del praticante avvocato.
Però, è vero anche che, d’altro canto, la pressione previdenziale è attenuata durante i primi 6 anni di iscrizione a Cassa: ai sensi dell’art. 24, commi 1 e 2, Regolamento Cassa Forense, il praticane avvocato è tenuto a versare: 1) il contributo minimo soggettivo ridotto della metà per i primi 6 anni di iscrizione a Cassa; 2) il contributo di maternità.
Il contributo minimo integrativo (lett. “b”) non è invece dovuto per il periodo di praticantato (art. 24, comma 3). A tal riguardo, per completezza dell’esposizione, si segnala altresì la possibilità offerta dall’art. 26 del Regolamento, per i percettori di redditi inferiori a 10.300 euro, di richiedere l’agevolazione corrispondente al pagamento di ¼ del contributo minimo soggettivo di cui all’art. 24, comma 1, lett. “a”: è, questa, un’opzione senz’altro economicamente vantaggiosa, ma che sconta un problema dal punto di vista previdenziale, giacché il comma 3 dello stesso art. 26 precisa che “chi si avvale della facoltà di cui al primo comma avrà riconosciuto un periodo di contribuzione di sei mesi in luogo dell’intera annualità sia ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, sia ai fini del calcolo della stessa”, con evidente frustrazione dell’obiettivo perseguito con l’iscrizione alla Cassa.
Dal punto di vista operativo, il praticante avvocato che opta per l’iscrizione facoltativa alla Cassa (è necessario avere una PEC), unitamente alla comunicazione che certifica l’iscrizione, riceverà altresì un prospetto indicante l’importo da versare a titolo di contributi: per un praticante iscritto a febbraio 2024, ad esempio, è dovuto il pagamento di un importo pari a 1677,50 euro, da versare in un’unica soluzione entro il 31.10.2024, oltre al contributo di maternità (il quale, però, è inferiore ai 100 euro).
Un sacrificio economico per il presente in vista di un essenziale vantaggio per il futuro.