Le casse di previdenza divengono pubbliche, per il Consiglio di Stato

di Marcello Adriano Mazzola

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Stiamo discutendo di numeri rilevanti: quasi 2 milioni di liberi professionisti intellettuali che producono circa il 7-10% del Pil italiano, che fondano l’intera professione sul proprio rischio e capacità e su nessun aiuto pubblico. Professioni intellettuali che partecipano alla crescita culturale ed economica del Paese, pagandone il maggior prezzo poiché non hanno alcun “paracadute” assistenziale. Soprattutto i giovani.
Le Casse previdenziali sono private ed autonome dal 1994, così volute tramite il d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza). (GU n. 196 del 23-8-1994). Occorre esaminare il tenore del d.lgs. 509/94 per comprendere l’alchimia giuridica messo in opera ora. Con l’art. 1 (Enti privatizzati) si è sancito che “1. Gli enti di cui all'elenco A allegato al presente decreto legislativo sono trasformati, a decorrere dal 1° gennaio 1995, in associazioni o in fondazioni (…) a condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario.”. Col secondo comma che “2. Gli enti trasformati continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato (…)”. Col terzo comma che “3. (…) Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali.”.


In virtù dell’art. 2 (Gestione) è statuito che “1. Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta.”. Il quarto comma prevede che “4. In caso di disavanzo economico-finanziario (…) si provvede alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione.”. Il quinto comma che “5. In caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario dopo tre anni dalla nomina del commissario, ed accertata l'impossibilità da parte dello stesso di poter provvedere al riequilibrio finanziario dell'associazione o della fondazione (…) è nominato un commissario liquidatore (…)”. L’art. 3 (Vigilanza) spiega che le Casse sono vigilate e non private: “1. La vigilanza sulle associazioni o fondazioni di cui all'art. 1 è esercitata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell'art. 1, comma 1. Nei collegi dei sindaci deve essere assicurata la presenza di rappresentanti delle predette Amministrazioni.”. E al comma quinto che “5. La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l'efficacia, e riferisce annualmente al Parlamento.”.
Alla luce di ciò emergeva, secondo tutti, che con il d.lgs. 509/1994 la Casse private avessero assunto personalità giuridica di diritto privato e fossero divenute dunque private e autonome. Si sorreggono infatti esclusivamente sui contributi dei propri iscritti, non hanno alcun finanziamento pubblico, subiscono una doppia tassazione che non ha eguali in Europa ed amministrano un patrimonio attuale di circa 50 miliardi di euro (destinato a crescere nei prossimi anni anche di 10 volte). Ed è proprio il patrimonio – che pure serve a garantire le pensioni – a suscitare l’interesse dell’ingordo legislatore. Decine di miliardi che, in regime di economicizzazione dei diritti, di bilanci doverosamente a posto e di soddisfacimento degli appetiti delle lobbie, fanno tanta gola.


Occorre ricordare come le Casse previdenziali godano di buona salute perché hanno appena superato lo stress test, imposto de facto dalla ministro Fornero (1), di garantire non più la sostenibilità a “soli” 30 anni ma addirittura sino a 50 anni (2). Fatto che tuttavia non ha certo riguardato l’INPS perché il sistema previdenziale pubblico (quello definito tale) è comunque coperto dal debito pubblico e quindi da tutti i cittadini.
Senonché il legislatore ha tentato in questi anni di svuotare il riconoscimento di soggetti privati ed autonomi non intervenendo direttamente sulla fonte di legge (pur avendone potestà) ma con norme surrettizie e con la compiacenza dell’Istat (che per 2 volte in questi anni ha inserito le Casse autonome nell’elenco delle amministrazioni pubbliche), ed ora con il suggello del Consiglio di Stato, solo al fine di meglio gestire l’ingente patrimonio delle Casse.
La sfrontatezza prende il sopravvento ad aprile quando è entrata in vigore la l. 26 aprile 2012 n. 44 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento (G.U. n. 99 del 28 aprile 2012 - supplemento ordinario), in virtù del cui art. 5, comma 7 si legge che "Ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010 (…) nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto”. Il giochino consentiva così di applicare la c.d. spending review alle Casse private (3) e di succhiare alle Casse il 5% di risparmio della spesa e per l’anno prossimo il 10%. Una tassa occulta, sottraendo risorse ai contributi versati dai professionisti.


Sicché lo strabico “legislatore” con una mano ordinava alle Casse di divenire virtuose e garantire la sostenibilità a 50 anni (nell’interesse dei giovani, si sosteneva) e con l’altra mano gli sottraeva il 5% del risparmio (poi sarà il 10%), lentamente rendendole pubbliche.
L’Istat diviene così lo strumento chirurgico (improprio giuridicamente, avendo attribuito a tale Ente, di fatto, potestà legislative) col quale si tenta di “pubblicizzare” le Casse senza dichiararlo apertamente. Le Casse con un colpo di bacchetta sono così definite “amministrazioni pubbliche” dall’Istat che le infila in un mero elenco.
Invero, le Casse private avevano già impugnato l’Elenco ISTAT 2006 ed avevano avuto ragione (Tar Lazio-Roma n. 1938/08) anche se poi la sentenza venne sospesa dal Consiglio di Stato (n. 3695/08). Poco dopo il fenomeno si è ripetuto con l’Elenco ISTAT 2011 ed anche in tal caso il Tar Lazio ha dato ragione alle Casse, sconfessando la tesi di Istat, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’economia e delle finanze, sottolineando come le Casse non possano essere considerate soggette a “controllo pubblico” in quanto “non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio delle ricorrenti atteso che a questo fine esse sono già state fornite dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma.” (Tar Lazio-Roma n. 224/12).(4)
Senonché ora il Consiglio di Stato con una sentenza palesemente politica (occorre riflettere sulla terzietà del giudice amministrativo dinanzi ad interessi politici ed economici enormi) scrive che le Casse sono private solo nell’organizzazione ma pubbliche nella funzione, richiamando impropriamente una fonte comunitaria che riconosce tale qualifica alla duplice condizione che «siano controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche», sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico. (5)


Posizione discutibile atteso che le Casse non sono controllate ma “vigilate”, con una notevole differenza sostanziale, e non sono in alcun modo finanziate dallo Stato.
Poco convincente anche laddove vengono richiamati, nella sentenza, gli elementi essenziali della previdenza privata, anche con riferimento alla potenzialità di produrre debito pubblico, per giustificare la natura della veste pubblica.(6)
Mi domando allora cosa abbia inteso fare il legislatore nel 1994, quando nessuno ha mai posto in dubbio la trasformazione (termine che usa il legislatore) delle Casse da pubbliche che erano a private. Perché in 20 anni tale tesi non è mai stata sostenuta, lasciando che si usasse da ultimo l’Istat come ariete? E dunque, ci spieghino, perché alle Casse private è stato imposto lo stress test di 50 anni e all’Inps no?
Rimangono ora solo, per le Casse, così come già anticipato dal presidente dell’AdEPP, i ricorsi al giudice delle leggi e in sede comunitaria, non escludendo nemmeno un ricorso alla Cedu.
Certo è che i contributi versati dai professionisti intellettuali nei decenni non possono essere sottratti ed usati per tappare i buchi di una classe politica di inetti.

Avv. Marcello Adriano Mazzola - Delegato di Cassa Forense

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