Introdotto l’equo compenso (nonostante AGCM)

di Marcello Adriano Mazzola

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Si pone difatti al centro della discussione la dignità (e dunque l’equità) del compenso dei liberi professionisti intellettuali. E per quanto c’interessa, dell’avvocatura. Dignità ed equità che non sono mercificabili solo secondo grette logiche mercatali (come ha preteso AGCM), e che nelle attuali condizioni anomale del c.d. mercato (crisi economica, numero elevato dei professionisti, obblighi di ogni tipo, ampliamento delle responsabilità, giurisprudenza sempre più varia, contraddittoria e creativa etc.) devono essere difese. Difese da una logica di mercato che intende solo ottenere il maggiore sconto possibile. Ma l’avvocatura non offre un servizio qualsiasi. Offre la “tutela dei diritti”. E spesso anche fondamentali. Il principio dell’equo compenso è passato nonostante l’ingerenza manifesta del Garante della Concorrenza, il quale ha osservato “con preoccupazione l’introduzione nel testo in discussione del ddl AC 4741 di conversione del d.l. 148/2017 (…) di una serie di misure idonee a ostacolare il processo competitivo che sembrano segnare un’inversione di tendenza, vanificando anche le riforme pro-concorrenziali recentemente introdotte” quali “le misure relative all’introduzione di un “equo compenso” per tutte le professioni” [2]. Avversione già espressa in passato da AGCM nei confronti degli stessi “parametri forensi[3] letti come tariffe forensi ombra. AGCM ha poc’anzi scritto alle Camere, per contrastare l’equo compenso, che “La disciplina in questione introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra professionisti e i clienti che fissino un compenso a livello inferiore dei valori previsti nei parametri individuati dai decreti ministeriali sarebbero da considerare vessatorie e quindi nulle. Tale nullità, relativa, potrebbe essere fatta valere esclusivamente dal professionista. La norma, nella misura in cui collega l’equità del compenso ai paramenti tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con tali tipologie di clienti. Se da un lato è vero, infatti, che verrebbe introdotta una nullità di protezione, azionabile esclusivamente dal professionista, dall’altro è altamente improbabile che i clienti accettino la fissazione di un compenso a livelli inferiori assumendosi, così, il rischio di vedersi contestare in corso d’opera o anche successivamente il mancato rispetto del principio dell’equità. (…) In definitiva, tramite la disposizione in esame viene sottratta alla libera contrattazione tra le parti la determinazione del compenso dei professionisti (ancorché solo con riferimento a determinate categorie di clienti).”. In pratica secondo AGCM la scelta “si pone, nel suo complesso, in contrasto con consolidati principi posti a tutela della concorrenza. (…) determinerebbe quindi un’ingiustificata inversione di tendenza rispetto all’importante ed impegnativo processo di liberalizzazione delle professioni, in atto da oltre un decennio e a favore del quale l’Autorità si è costantemente pronunciata. Si tratta, infatti, di misure che, al di là delle motivazioni che le vorrebbero giustificare, ripropongono appieno gli stessi problemi concorrenziali che l’Autorità ha avuto in più occasioni modo di segnalare in tema di tariffe minime. Secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, infatti, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. In quest’ottica, l’effettiva presenza di una concorrenza di prezzo nei servizi professionali non può in alcun modo essere collegata ad una dequalificazione della professione, giacché, come più volte ricordato dall’Autorità, è invece la sicurezza offerta dalla protezione di una tariffa fissa o minima a disincentivare l’erogazione di una prestazione adeguata e a garantire ai professionisti già affermati sul mercato di godere di una rendita di posizione determinando la fuoriuscita dal mercato di colleghi più giovani in grado di offrire, all’inizio, un prezzo più basso.”. In particolare, scrive AGCM, “È noto, infatti, che la qualità di una prestazione professionale si percepisce nel tempo e, al momento della scelta, la reputazione del professionista assume un’importanza cruciale, scalfibile solo attraverso offerte particolarmente vantaggiose che inducono il cliente a dare fiducia a un professionista meno affermato. Sarebbero proprio i newcomer ad essere pregiudicati dalla reintroduzione delle tariffe minime in quanto vedrebbero drasticamente compromesse le opportunità di farsi conoscere sul mercato e, in definitiva, di competere con i colleghi affermati che dispongono di maggiori risorse per l’acquisizione di clientela, anche di particolare rilievo. Pertanto, la reintroduzione di prezzi minimi cui si perverrebbe attraverso la previsione ex lege del principio dell’equo compenso finirebbe per limitare confronti concorrenziali tra gli appartenenti alla medesima categoria, piuttosto che tutelare interessi della collettività.”. La caparbietà di AGCM nell’insistere nelle proprie tesi poggia su un sillogismo grottesco, secondo il quale una sana concorrenza spietata, al ribasso evidentemente, gioverebbe anche ai nuovi giovani avvocati. Il massimo ribasso, il cannibalismo spietato, sarebbe una preziosa opportunità per i giovani professionisti per entrare nel mercato, secondo le lenti miope di AGCM. Un sillogismo infondato perché avere un “mercato” nel quale gli avvocati arrivino ad offrire consulenze e assistenze giudiziali a 1,99 euro al pari di un discount, dovendo poi mantenerle nel tempo ovviamente, perlomeno a lungo, riteniamo sia controproducente tanto per la crescita qualitativa degli avvocati che per la buona tutela della clientela. Forse AGCM intendeva dire “una imperdibile opportunità per i clienti”. Soprattutto se forti.

Avv. Marcello Adriano Mazzola - Delegato Cassa Forense

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[1]LEGGE 4 dicembre 2017, n. 172 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell'estinzione del reato per condotte riparatorie. (17G00186) (Vigente al 6-12-2017): Art. 19-quaterdecies. (Introduzione dell'articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia di equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati). - 1. Dopo l'articolo 13 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e' inserito il seguente: "Art. 13-bis. (Equo compenso e clausole vessatorie). - 1. Il compenso degli avvocati iscritti all'albo, nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attivita' di cui all'articolo 2, commi 5 e 6, primo periodo, in favore di imprese bancarie e assicurative, nonche' di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003, e' disciplinato dalle disposizioni del presente articolo, con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese. 2. Ai fini del presente articolo, si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto, nonche' al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6. 3. Le convenzioni di cui al comma 1 si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese di cui al medesimo comma salva prova contraria. 4. Ai fini del presente articolo si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equita' del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato. 5. In particolare si considerano vessatorie, salvo che siano state oggetto di specifica trattativa e approvazione, le clausole che consistono: a) nella riserva al cliente della facolta' di modificare unilateralmente le condizioni del contratto; b) nell'attribuzione al cliente della facolta' di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto; c) nell'attribuzione al cliente della facolta' di pretendere prestazioni aggiuntive che l'avvocato deve eseguire a titolo gratuito; d) nell'anticipazione delle spese della controversia a carico dell'avvocato; e) nella previsione di clausole che impongono all'avvocato la rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla prestazione dell'attivita' professionale oggetto della convenzione; f) nella previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente; g) nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all'avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte; h) nella previsione che, in ipotesi di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati; i) nella previsione che il compenso pattuito per l'assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti soltanto in caso di sottoscrizione del contratto. 6. Le clausole di cui al comma 5, lettere a) e c), si considerano vessatorie anche qualora siano state oggetto di trattativa e approvazione. 7. Non costituiscono prova della specifica trattativa ed approvazione di cui al comma 5 le dichiarazioni contenute nelle convenzioni che attestano genericamente l'avvenuto svolgimento delle trattative senza specifica indicazione delle modalita' con le quali le medesime sono state svolte. 8. Le clausole considerate vessatorie ai sensi dei commi 4, 5 e 6 sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto. La nullita' opera soltanto a vantaggio dell'avvocato. 9. L'azione diretta alla dichiarazione della nullita' di una o piu' clausole delle convenzioni di cui al comma 1 e' proposta, a pena di decadenza, entro ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni medesime. 10. Il giudice, accertate la non equita' del compenso e la vessatorieta' di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullita' della clausola e determina il compenso dell'avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6. 11. Per quanto non previsto dal presente articolo, alle convenzioni di cui al comma 1 si applicano le disposizioni del codice civile". 2. Le disposizioni di cui all'articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all'articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, i cui parametri ai fini di cui al comma 10 del predetto articolo 13-bis sono definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attivita', garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 4. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”.

[2]AS1452 – MISURE CONTENUTE NEL TESTO DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 148/2017 (DECRETO FISCALE), 24.11.17 AGCM.

[3] In nota AS1452 – MISURE CONTENUTE NEL TESTO DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 148/2017 (DECRETO FISCALE), 24.11.17 AGCM: “L’Autorità ha segnalato le criticità della nuova legge forense (L. 31 dicembre 2012 n. 247) ed il relativo decreto ministeriale nella parte in cui prevede l’utilizzo dei parametri tariffari predisposti per le liquidazioni giudiziali anche nei casi in cui non vi sia accordo tra professionista e cliente. Cfr. in particolare Segnalazione AS 1137 del 4 luglio 2014 Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014, in boll. 27/2014 in cui è stato affermato che: «La norma in questione invece non solo prevede nuovamente un ruolo del CNF nella determinazione dei parametri, ma prevede l’applicazione degli stessi anche fuori dai casi di liquidazione giudiziale del compenso. Infatti i parametri forensi, recentemente approvati con il D.M. n. 55/2014, trovano espressa applicazione anche nei rapporti tra cliente e avvocato, in caso di mancata determinazione consensuale del compenso tra le parti. Di fatto, quindi, i parametri forensi diventano dei valori di riferimento per i professionisti nella determinazione del compenso e si prestano a svolgere lo stesso ruolo delle precedenti “tariffe”, abrogate dalle misure di liberalizzazione di cui all’articolo 9 del citato d.l. n. 1/2012 per l’insieme delle professioni regolamentate».


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