Il patrimonio della Cassa è appetibile per lo Stato?

di Marcello Adriano Mazzola

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Grazie alla giurisprudenza amministrativa, le Casse sono state trasformate surrettiziamente in “pubbliche” (col suggello di Cons. St. 28 novembre 2012, n. 6014), reso possibile grazie alla longa manus dell’Istat che ha definito “amministrazioni pubbliche” le Casse autonome, così poi asservite alla spending review che ha imposto alle Casse un prelievo forzoso dai contributi (privati) verso lo Stato.
Un obolo di dubbia legittimità atteso che le Casse pur non godendo di finanziamenti pubblici (come l’Inps) son chiamate a soddisfarli! E’ come se fossero chiamate a partecipare ad una lauta cena, pagandone il conto, ma senza poter sedersi a tavola.
Per la giurisprudenza ordinaria invece erano e sono Casse private.
Già questa dicotomia schizofrenica spiega quanto lo Stato ci tenga alle Casse private. Sì, ma esclusivamente per fare cassa. Uno Stato in default ricorda sempre di più un disperato tossico in crisi di astinenza, che ossessivamente si guarda intorno per tentare di arrivare a fine giornata. E le Casse private hanno quasi 60 miliardi di patrimonio. Cassa Forense circa 7 miliardi, attuali.
Le Casse divengono dunque il “porcellino salvadanaio” dal quale attingere. Indebitamente ma ancor più spudoratamente ove si pensi che le Casse già contribuiscono a sorreggere il Paese, avendo investito consistenti investimenti nei Bot e ove si pensi che sono peraltro contribuenti significativi.
L’autonomia dell’avvocatura si rispecchia anche nell’autonomia del suo ente previdenziale, sua istituzione ma soprattutto suo patrimonio per la previdenza nonché per l’assistenza. Quest’ultima, oggi, più che mai rilevante.


Invero, lo Stato non potendo con disinvoltura ignorare la portata del d.lgs. 509/1994, ha dapprima cercato di indebolirlo con la giurisprudenza amministrativa (quanto mai “politica” in tale versante), poi ha iniziato a pretendere la sostenibilità a 50 anni (passando d’un colpo dai previgenti 30 anni), poi ha inserito un’ulteriore livello di “vigilanza” quale la Covip, infine ha introdotto una serie di infide norme che hanno un solo scopo (ovviamente non dichiarato): indebolire l’autonomia ed il patrimonio delle Casse. In gergo pugilistico diremmo che lo Stato (in default) tenta di fiaccare le Casse.
Un modo veramente singolare di tutelare la previdenza di circa 2.000.000 liberi professionisti che costruiscono quasi per il 15% di Pil di questo Paese.
Non si spiegano altrimenti queste 2 ultime manovre: a) la prima è fornita dal d.m. 10.1.14 che consente alle Casse di far compensare i crediti/debiti dei propri iscritti con lo strumento dell’F24; b) la seconda è fornita dal d.l. 66/2014 che ha elevato l’aliquota di tassazione sulle rendite finanziarie dal 20% al 26%.
La prima manovra è già stata definita dai commercialisti il “cavallo di Troia” dello Stato per entrare di nascosto nelle Casse private, svuotarne l’autonomia e gestirne (per altri fini, s’intende) le risorse. Ed è proprio così. Si pensi che solo per Cassa Forense lo Stato potrebbe incassare direttamente tramite l’F24 tutti i contributi versati (di circa 1,2 miliardi annui) a fronte di una compensazione inferiore ai 30 milioni di euro. E quando mai riverserebbe tali contributi a Cassa Forense ove si pensi che l’Agenzia delle Entrate impiega anni a restituire cifre assai minori?
La seconda manovra è una ostentazione di aberrante diseguaglianza che meriterebbe un ricorso alla Giustizia extra-italiana. Si pensi che solo questo incremento (dal 20 al 26%) potrebbe costare a Cassa Forense un obolo aggiuntivo di circa 5 milioni di euro (sottratti dunque alle risorse formate esclusivamente dai nostri contributi). Tutto ciò mentre (leggete bene) i “fondi di previdenza complementare” hanno una tassazione agevolata di solo l’11%. Tutto ciò mentre (leggete bene) la tassazione delle rendite finanziarie degli enti previdenziali europei è pari a zero!


Tali condotte sono inaccettabili e assai gravi. Ha fatto bene da ultimo a tuonare al riguardo il presidente dell’AdEPP, Camporese, ricordando come stante tali condotte le Casse private potrebbero decidere di abbandonare i sontuosi investimenti sui titoli di Stato (ad oggi di circa 10 miliardi) altrove, anche all’estero. Ma non basta più tuonare, occorre reagire concretamente. Non siamo il porcellino da cui attingere per colmare gli errori e le responsabilità altrui. I nostri contributi non sono moneta corrente per saziare il default altrui.

Avv. Marcello Adriano Mazzola – Delegato di Cassa Forense

 

 

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