Donne in bilico tra toga e famiglia: un esempio di funambolismo

di Ida Grimaldi

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Tempi duri per gli avvocati e, se sei donna e mamma, meglio fare un corso di acrobazia o di funambolismo.
Le coraggiose che cercano di conciliare vita professionale e maternità si trovano a camminare su una fune, sospese tra le responsabilità della professione e le richieste di cura della famiglia. Sono funambole e sono più di 97.000 le donne avvocato, oltre il 45% degli iscritti agli Albi.

Nonostante le difficoltà che devono affrontare tutti i giorni, le donne che si dedicano alla professione sono tante; ma a quali condizioni? I grandi ostacoli ruotano principalmente attorno alla famiglia, con i carichi di lavoro legati alla cura dei figli, al modello di welfare, che offre pochi servizi per l'infanzia, e all'organizzazione del lavoro.
Il rapporto Censis del 2010, denominato “Dopo le buone teorie, le proposte: programma di ricerca-intervento per le donne avvocato” e commissionato dall’AIGA e dal CNF, nella sua analisi e descrizione della situazione reale del lavoro negli studi legali, ha individuato, quale primario strumento d’intervento, proprio quello di alleggerire la famiglia. In tale contesto è esplicito il riferimento ai problemi collegati alla conciliazione di tempi di vita familiare e di lavoro e, quindi, all’esigenza di promuovere iniziative di vero e proprio welfare.
A tal proposito il vero punto di svolta, culturale prima ancora che normativo, è rappresentato dalla Legge n. 53 dell’8 Marzo 2000 che, al terzo comma dell’art. 9, incentiva azioni positive volte a conciliare tempi di vita e di lavoro attraverso finanziamenti pubblici.
Tale norma, di natura sperimentale, è stata oggetto nel tempo di diverse integrazioni e modifiche, l’ultima intervenuta con l’art. 38 della Legge n. 69 del 18/6/2009 che, pur ampliando la platea dei possibili beneficiari, ha di fatto sospeso, in attesa di un nuovo regolamento di attuazione, la presentazione di nuovi progetti.


Tale regolamento, entrato in vigore soltanto il 18.05.2011, è reperibile sul sito www.politichefamiglia.it, unitamente all’avviso di finanziamento con le regole per la presentazione dei progetti.
Il finanziamento, in sostanza, è finalizzato a sostenere un progetto a copertura delle spese derivanti dall'intervento di conciliazione, vale a dire, per noi avvocati, la possibilità di farsi sostituire o coadiuvare da un altro collega per un periodo non superiore ai 12 mesi.
L'importo massimo finanziabile per ogni progetto è di euro 35.000,00 e, per il 2011, i progetti andavano inviati entro il 13 luglio e 28 ottobre alla Presidenza del Consiglio – Dipartimento per le Politiche della Famiglia. Il Bando per il 2012 è in attesa di pubblicazione.
Gli avvocati hanno cominciato tardi ad utilizzare tale strumento e ciò, soprattutto, per la sua scarsa conoscenza; ma una volta decollati tali progetti hanno poi trovato diffusione nella categoria. Nei convegni nei quali ho avuto l’opportunità di affrontare l’argomento (Treviso giugno 2010, Roma maggio 2011, Treviso dicembre 2011) ho riscontrato grande interesse per il tema e, al contempo, la novità della notizia, sconosciuta ai più. L’informazione è pertanto fondamentale e primario strumento di tutela.
Nella mia regione, il Veneto, il primo progetto finanziato ad un avvocato è stato presentato nel febbraio 2008 e nello stesso anno, grazie all’iniziativa di una giovane collega ed alla collaborazione di talune associazioni e del Consiglio dell’Ordine di Vicenza, presso quel Foro fu costituito uno specifico gruppo di lavoro per la diffusione delle modalità di presentazione dei progetti; ne furono presentati ben 8. In tutta Italia, fino al 2009 (i finanziamenti sono ripresi solo nel 2011), sono stati finanziati 91 progetti, 13 in Veneto, di cui 9 assegnati a donne avvocato (tra queste le 8 vicentine di cui si è detto).


Ma il finanziamento è solo il primo passo poiché, a norma dell’art. 18 del Regolamento, l’erogazione del contributo è subordinata alla verifica della corretta attuazione e rendicontazione del progetto da farsi presso il proponente a cura dei servizi ispettivi del Ministero del Lavoro.
E’ da ritenere che l’art. 9 legge 53/2000, pur con la previsione di procedure articolate, apre la strada a nuovi e moderni interventi per conciliare famiglia e lavoro. Ciò fa sperare che tale conciliazione sia un traguardo possibile, ma è necessaria un’armonizzazione dei diversi tempi di lavoro e di cura familiare, come possibilità offerta e non come "capacità da equilibrista" dei singoli nello svolgere compiti di tipo lavorativo e familiare.
Se è vero, infatti, che è a livello individuale che si manifestano in tutta la loro evidenza le esigenze di un maggiore equilibrio tra tempo dedicato al lavoro e alla vita familiare, è altresì vero che il singolo non può, da solo, trovare una risposta adeguata a tali bisogni: soprattutto non può farlo in modo stabile e strutturato.
E questo ha un inevitabile quanto grave costo sociale perché, nell’impossibilità di conciliare, gli individui spesso rinunciano a formare una famiglia, che è l’indefettibile “collegamento con il nostro passato e un ponte verso il nostro futuro” (A. Haley).

Ida Grimaldi

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