Crescita e prudenza
23/04/2012
Stampa la paginaIn nessun caso il patrimonio viene computato come indicatore di sostenibilità, cioè non può essere intaccato per pagare le future pensioni. Ma questo patrimonio esiste, cresce nel tempo e nel caso di Cassa Forense è destinato ad essere la migliore garanzia per la tranquillità dei conti e soprattutto degli iscritti. In pratica, una volta confermato l’equilibrio cinquantennale, il patrimonio rappresenta un ulteriore elemento di stabilità e sicurezza. Vediamo insieme il perché.
Innanzi tutto quello di Cassa Forense è un patrimonio significativo, che a fine 2011 sfiorava 5 miliardi di euro (valori di massima dato che il bilancio è in via di definizione in queste settimane). Ma è un patrimonio che cresce, visto che attualmente ogni anno, grazie al fatto che per ogni pensionato ci sono circa 5 avvocati attivi, la gestione genera un saldo positivo di alcune centinaia di milioni di euro; infine è gestito in modo molto prudente e, riteniamo, oculato.
A fine 2011, circa l’85% del patrimonio era in investimenti mobiliari e circa il 15% in immobili posseduti direttamente. All’interno degli investimenti mobiliari ben il 65% era costituito da titoli di debito, un po’ più del 20% in titoli azionari ed il 15% da altri investimenti, soprattutto liquidità, private equity e fondi di real estate e infrastrutture.
In pratica, facendo riferimento alle classificazioni internazionali, meno del 25% del patrimonio complessivo (azioni, private equity e commodities) è da considerarsi “satellite”, cioè, semplificando, maggiormente rischioso a fronte di un rendimento atteso più elevato, mentre ben il 75% è in investimenti “core”, cioè a basso rischio e a minore redditività.
Questa impostazione strategica è data dal fatto che Cassa Forense fa della difesa e conservazione del proprio patrimonio una caratteristica distintiva, sia pure cercando di arrotondarne il rendimento con qualche investimento più volatile (“satellite”), lasciando però fuori dal perimetro degli asset investibili operazioni più rischiose, in particolare quelle in strumenti strutturati, in derivati e in hedge fund. Attivi con queste caratteristiche non compaiono nemmeno per cifre insignificanti all’interno del portafoglio: anche se è vero che possono dare importanti plusvalenze, potrebbero però anche portare a perdite considerevoli quando i mercati non vanno nella direzione prevista. Il Consiglio di Amministrazione ha stabilito che, relativamente a queste classi, il gioco non valga la candela.
All’interno degli investimenti obbligazionari la parte del leone la fa il debito pubblico italiano, che complessivamente pesa oltre 2 miliardi di euro. Se da un lato si potrebbe obiettare che vi è un eccessivo rischio paese, dall’altro vanno fatte alcune considerazioni: la riduzione del peso sui titoli governativi italiani, alla luce delle turbolenze dello spread, non è sembrata opportuna sia perché il governo ha messo in atto una serie di provvedimenti volti a mettere in sicurezza i conti dello Stato, sia perché si sarebbe incorsi in una minusvalenza finanziaria, date le riduzioni di prezzo dei titoli in questi ultimi due anni; si ritiene invece che il debito pubblico verrà comunque onorato per intero a scadenza, evitando quindi tali minusvalenze. A maggiore garanzia degli iscritti, Cassa Forense ha però spostato il peso degli investimenti in titoli governativi da quelli nominali a quelli “inflation linked”, che coprono cioè dai rialzi del tasso di inflazione e in quanto tali rappresentano la classe di investimento ideale per un fondo di previdenza, le cui passività sono soprattutto le future pensioni da erogare, anche esse soggette ad inflazione. La parte rimanente degli investimenti obbligazionari è investita in fondi, che dalla loro sottoscrizione hanno dato un soddisfacente rendimento annualizzato medio del 3,69%.
Meno adeguati sono stati i risultati degli investimenti azionari, soprattutto quelli in blue chip italiane, gestiti direttamente. Le quotazioni di questi titoli hanno purtroppo risentito del cattivo andamento dell’economia nazionale negli ultimi anni, cosa che, nei suoi eccessi, ha peraltro creato le condizioni per rafforzare alcune partecipazioni strategiche a valutazioni ritenute convenienti. Cassa Forense ha oggi in portafoglio circa l’1% di Assicurazioni Generali, l’1,2% di Mediobanca, quote rilevanti in Eni, Enel e Unicredit, che permettono di rafforzarne il ruolo istituzionale svolto all’interno di un sistema paese da difendere e preservare.
Relativamente alle modalità di gestione, alla luce delle masse sempre più rilevanti in gioco, la tendenza è quella di esternalizzare sempre più la gestione di asset ritenuti non strategici e di mantenere in casa la sola gestione di titoli governativi, partecipazioni azionarie significative e di alcuni fondi immobiliari e di private equity. La situazione a fine 2011 presentava, su circa 2,7 miliardi di euro investiti nella componente obbligazionaria, circa il 25% in gestione indiretta (fondi), più che raddoppiato rispetto all’anno precedente, e circa il 75% del portafoglio gestito direttamente dagli uffici, quasi tutto concentrato sui governativi italiani. Nell’azionario la gestione indiretta attraverso fondi rappresenta circa un terzo del totale, mentre quella diretta è focalizzata soprattutto sulla gestione delle partecipazioni italiane di cui sopra.
Per concludere, Cassa Forense ha mantenuto in gestione diretta solo le asset class più strategiche ed in linea con il proprio ruolo istituzionale. Negli ultimi anni sta progressivamente implementando un processo di affidamento all’esterno della gestione di strumenti di investimento più specialistici che richiedono una precisa competenza tecnica; allo stesso tempo, cum granu salis, sta riducendo il peso degli investimenti “italiani”, approfittando delle migliori opportunità offerte dai mercati dei paesi emergenti e americani.
Riteniamo che Cassa Forense sia oggi ben posizionata per approfittare di eventuali riprese dei mercati o di non soffrire eccessivamente nel caso di un riacutizzarsi della crisi, sempre comunque tenendo in mente la sua missione che è quella di pagare pensioni adeguate nel tempo e non quella di ricercare investimenti rischiosi.
Sergio Cellini - Direttore Generale di Cassa Forense