Casse di Previdenza private: quale è la sostenibilità fiscale?

di Marcello Adriano Mazzola

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Nei saluti iniziali il presidente di Cassa Forense Avv. Nunzio Luciano ha ricordato quanto la Cassa, dopo aver rafforzato il welfare sia ora pronta ad investire nell’economia reale di questo Paese ma a condizione che sia pure fiscalmente conveniente farlo.
Il presidente di Adepp (l’Associazione degli Enti Previdenziali Privati, nata nel 1994 a seguito della privatizzazione delle Casse) Dott. Alberto Oliveti nel ricordare come le 19 Casse oggi aderenti abbiano raggiunto un patrimonio pari a circa 75 miliardi e i cui liberi professionisti contribuiscano a realizzare ben 10 punti di Pil, ha poi posto in evidenza quanto le Casse sottraggano un costo rilevante di welfare allo Stato. Invero per quei circa 1,5 milioni di iscritti agli Ordini esistono già parecchi ombrelli assistenziali, in quanto le Casse c.d. privatizzate sono arrivati a stanziare circa 500 milioni di euro all’anno, anche attraverso le polizze sanitarie integrative, strumento di grande valore per sopperire alle conseguenze di patologie contratte e di invalidità subite. Tutto questo senza ottenere alcun riconoscimento da parte dello Stato che anzi assoggetta le Casse ad un trattamento fiscale iniquo. Analoghe perplessità son state evidenziate dal Consigliere CNF delegato alla fiscalità avv. Carlo Allorio che ha pure portato i saluti da parte dell’intero Consiglio Nazionale Forense.


Nel corso della discussione tecnica l’Avv. Prof. Fabio Marchetti, professore di diritto processuale tributario e di diritto tributario presso la facoltà di Economia della LUISS Guido Carli, ha posto in risalto tutte le contraddizioni esistenti nel trattamento fiscale riservato tra la previdenza pubblica e la previdenza privata fiscalità e poi tra la previdenza privata delle Casse c.d. privatizzate e i fondi pensione. Ha evidenziato in apertura come sussisterebbe nel nostro ordinamento il principio del "divieto" di doppia tassazione del risparmio previdenziale ma come in realtà lo "stato dell’arte" veda per la previdenza pubblica di base il regime EET ‘secco’ [Exempt- Exempt –Taxed): contributions and returns are exempt during the period of accumulation, but the distribution is taxed], per la previdenza privatizzata di base il regime ETT 'pieno' [ETT (Exempt-Taxed-Taxed): the taxation of contributions occurs when distributing the returns, as in the previous model, while the taxation of returns occurs in the accumulation phase], mentre per la previdenza privata complementare, di fatto una sorta di regime EEE o E(l)E(s)E(s) o E(l)E(ts)E(ts) (con applicazione di imposte sostitutive di particolare favore fiscale: 11/20% e 9/15%).
Invero, l’avv. prof. Marchetti ricorda come l’insidia nasca dal fatto che le casse privatizzate siano ritenuti fiscalmente enti non commerciali ex art. 73, comma 1, lett. c) e art. 74, comma 2, lett. b, t.u.i.r.. E che quali enti non commerciali le casse siano soggetti IRES su una base imponibile formata dai redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi determinati ai sensi degli artt. 143 e 144 del t.u.i.r. (cfr. anche circolare 27 aprile 2016, n. 14/E dell’Agenzia delle Entrate), così applicandosi l’aliquota IRES ordinaria del 27,5% non rientrando fra i soggetti cui spetta l’aliquota IRES ridotta al 50% (art. 6, d.P.R. n. 601/73). Inoltre, per quanto concerne, in particolare, i redditi di capitale e diversi, le Casse sono soggette a ritenute alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, prevalentemente nella misura attualmente vigente del 26% (con esclusione degli investimenti in titoli pubblici che scontano la minor tassazione del 12,50%). Le casse dunque sono soggetti nettisti.


Per effetto del comma 655 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dal 2014 per le Casse, come per tutti gli altri enti non commerciali, gli utili percepiti concorrono alla base imponibile IRES non più nella misura del 5% (ex art. 4, comma 1, lett. q, del d.lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003) ma nella maggior misura del 77,74%.
Tutto questo mentre i fondi pensione seguono lo 'schema' della contribuzione definita (d.lgs. n. 252 del 2015 e già prima d.lgs. n. 124 del 1993). Sui rendimenti finanziari maturati anno per anno scontano un’imposta sostitutiva del 20% (11% per effetto della fruizione del credito d’imposta previsto dalla legge di stabilità 2015), ferma restando l’applicazione dell’imposta nella misura del 12,50% sui rendimenti finanziari dei titoli pubblici. I fondi pensione non subiscono ritenute alla fonte. I fondi pensione dunque sono soggetti lordisti. Peraltro sugli investimenti immobiliari i fondi pensione pagano un’imposta patrimoniale sostitutiva. Non sono soggetti alla ritenuta del 26% sui proventi dei fondi di investimento immobiliare cui partecipano, che concorrono al risultato di gestione.
In conclusione l’Avv. Prof. Fabio Marchetti ritiene che volendo agire sulla fiscalità delle prestazioni si dovrebbe in simmetria con il trattamento dei fondi pensione, escludere dall’imposizione la parte corrispondente ai rendimenti finanziari già tassati in capo alle casse. In tal modo ci avvicineremmo ad un modello EET. Pertanto volendo lasciare inalterata la fiscalità delle prestazioni, si dovrebbe agire sulla fiscalità delle Casse vuoi riconoscendo ad esse come enti previdenziali l’aliquota agevolata IRES prevista per gli enti assistenziali vuoi applicando una fiscalità agevolata sui rendimenti finanziari ed immobiliari assimilabile a quella prevista per i fondi pensione.


Nel successivo intervento l’Avv. Paolo dè Capitani dello studio Uckmar ha invece affrontato i profili comparatistici della previdenza dei professionisti, richiamando il recente studio scientifico comparativo europeo che ha messo a confronto il trattamento fiscale dei sistemi pensionistici privati [Cost effectiveness of pensions and the role of taxation – an emerging European debate - Working Paper OSE-EURELPRO, April 2014 (authors Dalila Ghailani, David Natali (OSE, Europan Social Observatory))] certificando che l’Italia è il Paese europeo e che, appunto quanto alle Casse private, ha il peggior peso fiscale dell’eurozona (insieme a Svezia e Danimarca, paesi tuttavia non comparabili quanto a livelli di welfare e funzionalità della pubblica amministrazione), così realizzandosi vari effetti negativi, tra cui la scarsa competitività degli avvocati italiani ed anche penalizzando i professionisti che intendano esercitare in due o più Paesi, dovendo esporsi a diversi regimi. Nella media dei Paesi U.E. difatti vige il regime EET 'secco' [(Exempt- Exempt –Taxed).
Ha preso poi la parola il Prof. Mauro Marè,professore ordinario di Scienza delle finanze, Università della Tuscia e Presidente Mefop, ed in particolare consulente del Ministro Padoan, il quale dopo aver spiegato le ragioni dell’attuale sistema e i vantaggi del credito d’imposta, ha precisato come sia allo studio una «Aliquota zero» solo per gli investimenti nell'economia reale del paese (ancorchè non possa essere indicato esclusivamente nello stato Italia) da parte di Enti previdenziali dei professionisti e Fondi pensione, ed il cui costo di questa agevolazione si aggirerebbe, secondo le prime stime, sui 100-150 milioni di euro. Tutto ciò potrebbe rientrare nella prossima Legge di Stabilità che vedrà l’Italia presentarla alla U.E. entro il 15 ottobre.


Da ultimo è poi intervenuto l’Avv. Prof. Giuseppe Tinelli, professore ordinario di Diritto Tributario nell’Università di Roma Tre, con riferimento ai "Dubbi di costituzionalità della disciplina fiscale delle Casse di previdenza c.d. private" il quale ha evidenziato come le scelte politiche non sempre si coordinino con i principi costituzionali posti alla base del nostro sistema tributario e che, sotto diversi aspetti, sembrano astrarsi rispetto ad una oggettiva considerazione del tipo di attività svolta da tali enti. In particolare egli osserva come “La disciplina della fase di maturazione del rendimento è quella che desta le maggiori preoccupazioni, in quanto risulta condizionata sia dalla particolare forma di imposizione sul reddito delle Casse, che dalla tassazione sui rendimenti finanziari. Tali forme impositive concorrono a differenziare in modo deteriore la disciplina impositiva di tali soggetti previdenziali rispetto alla previdenza c.d pubblica, ma anche, sotto diversi aspetti, rispetto ai fondi pensione complementari.”. In particolare l’Avv. Prof. Tinelli così evidenzia: “Un primo aspetto che appare evidente dall’analisi della disciplina fiscale che caratterizza le Casse previdenziali c.d. private è la discriminazione che si nota rispetto alla disciplina della previdenza pubblica. Pur in presenza di una sostanziale omologabilità dell’attività previdenziale pubblica a quella privata, la fase del finanziamento della provvista finanziaria del trattamento pensionistico viene a presentare una disciplina totalmente diversificata. Mentre la previdenza pubblica gode di un’esenzione generale dei proventi degli investimenti mobiliari ed immobiliari destinati al finanziamento delle prestazioni, la previdenza privata vede assoggettato ad imposizione, con aliquota IRES ordinaria, il risultato della propria gestione finanziaria, scontando alla fonte il prelievo sui rendimenti finanziari, e vedendo applicata anche l’IRAP sui redditi erogati. In questo modo, l’iscritto alla Cassa concorre al finanziamento della previdenza pubblica attraverso la fiscalità ordinaria, ma vi concorre ulteriormente attraverso la fiscalità propria dell’ente previdenziale privato, che deve corrispondere le ordinarie imposte sui rendimenti necessari ad assicurare la prestazione pensionistica futura.


Si realizza, dunque, una proliferazione di tassazione sulla stessa fonte di reddito che genera l’obbligo contributivo e che consente l’investimento da parte dell’ente previdenziale, che a sua volta dà luogo ad una imposizione non recuperabile in sede di erogazione del trattamento pensionistico, la cui imposizione viene a colpire anche la parte generata dall’investimento finanziario della Cassa. In altri termini, la ricchezza prodotta dal lavoro del professionista, già soggetta all’ordinaria fiscalità che contribuisce al finanziamento della previdenza pubblica, viene ulteriormente tassata al momento dell’investimento finanziario vincolato al fine previdenziale e sconta un’ulteriore tassazione al momento dell’erogazione della pensione. Sembra, quindi, doversi individuare una vera e propria discriminazione fiscale tra previdenza pubblica e previdenza delle Casse c.d. private, tale da produrre un sistematico travaso di risorse prodotte nell’ambito del lavoro privato verso il sistema della previdenza pubblica, dando luogo così ad una forma di espropriazione occulta di risorse private.". Tale discrasia, secondo l’Avv. Prof. Tinelli, si nota ancor più con riferimento al diverso trattamento riservato ai fondi pensione: “Ma la asimmetria della disciplina fiscale delle Casse c.d private si nota anche nel confronto con il trattamento fiscale previsto per i fondi pensione complementari, che sotto diversi aspetti si presenta ingiustificatamente più favorevole di quello della previdenza obbligatoria privata. Come si è osservato, la previsione di una tassazione sostitutiva sul risultato di gestione di tali fondi, con un’aliquota sensibilmente più bassa di quella ordinaria, l’inapplicabilità della ritenuta alla fonte sui rendimenti finanziari di tali fondi, l’inapplicabilità dell’IRAP e la computabilità in fase di erogazione della fiscalità degli investimenti sembrano dare luogo ad una situazione di ingiustificata discriminazione del regime fiscale delle Casse previdenziali private rispetto a quello della previdenza volontaria privata.".


Secondo l’Avv. Prof. Tinelli "In tale ottica, non sfuggirebbe al controllo di costituzionalità, condotto nel solco della consolidata giurisprudenza della Consulta, il rilievo dell’ingiustificata differenziazione della disciplina fiscale prevista per le Casse previdenziali private rispetto a quella stabilita per gli altri soggetti protagonisti della previdenza" ed in particolare "Uno spunto circa la sindacabilità della discriminazione del soggetto iscritto ad un ente di previdenza privata rispetto alla posizione spettante ad un soggetto, ipoteticamente assimilabile dal punto di vista reddituale e personale, potrebbe derivare dai rilievi che la Corte Costituzionale fa propri nella sentenza n. 116 del 5 giugno 2013. In tale pronuncia la Corte ribadisce il contrasto con i principi fondamentali che devono reggere il sistema tributario di una forma impositiva "occulta" diretta a colpire solo alcune categorie di “cittadini”, rilevando come l’art. 53 non consenta trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi di lavoro, alla luce della particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti, ma anche confermando la propria consolidata visione circa il dovuto controllo dell’uso ragionevole da parte del legislatore dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, in tutti i casi in cui si verifichino discriminazioni di trattamento. Tuttavia, tali principi non sembrano agevolmente richiamabili nell’inquadramento della fattispecie in esame, nella quale non si discute di differenziazione di trattamento fiscale dei pensionati "privati" rispetto a quelli "pubblici", la cui disciplina è uguale, ma piuttosto di diversificazione della disciplina fiscale degli enti gestori della previdenza, seppur con inevitabili ricadute nella misura del rendimento degli investimenti finanziari e nelle conseguenti esigenze di interventi sulla contribuzione.".


Pertanto in un’auspicabile ottica riformista, prosegue l’Avv. Prof. Tinelli, "Nel nostro ordinamento, la regola ispiratrice della disciplina fiscale della previdenza privata dovrebbe essere individuata nella regola della tassazione del risparmio accumulato dagli enti preposti solo al momento della sua erogazione ai destinatari del trattamento pensionistico, detassando la fase della contribuzione, ma anche quella dell’accumulazione di rendimenti strettamente finalizzati alla funzione previdenziale cui sono destinati. Il cd. "principio del differimento dell’imposizione del reddito accantonato per finalità previdenziali" trova giustificazione concettuale nella considerazione che tale reddito, essendo vincolato a tenere indenne il lavoratore dai rischi derivanti dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno, non può essere assoggettato all'imposizione sui redditi, e ciò anche in quanto il presupposto d’imposta (disponibilità del reddito) si realizzerà in capo al contribuente soltanto in occasione della corresponsione della prestazione pensionistica. Tale principio, che nel mondo ha incontrato il favore dei sistemi previdenziali delle realtà economiche più evolute, in Italia sembra risultare pienamente rispettato solo in relazione alla previdenza pubblica, nel quale vige il modello di tassazione EET "puro".".
L’evento è stato dunque cardinale per vari motivi: la presa di coscienza, anche tecnica, di un problema che sottrae ogni anno alle Casse c.d privatizzate centinaia di milioni ogni anno, destinandole alle casse del fisco, a svantaggio dei liberi professionisti intellettuali, i quali si vedono depauperate le risorse per le pensioni e per l’assistenza, chiamati peraltro doppiamente anche in qualità di contribuenti a finanziare le casse dell’Inps; la consapevolezza che esiste una discriminazione, di assai dubbia costituzionalità, tra Casse privatizzate, Inps e fondi pensione; la consapevolezza della discrasia schizofrenica tra l’imposizione del legislatore dell’obbligo di garantire la sostenibilità di lungo periodo (50 anni) alle Casse privatizzate (che però non godono di alcun finanziamento pubblico) addossandogli però anche una insostenibilità fiscale ingiustificata (tanto con riferimento al diritto interno quanto a livelli comparatistici), imponendogli pure le misure della spending review (risparmio che poi finisce però sempre nelle casse dello Stato), nell’ottica di considerare pubbliche le Casse privatizzate soltanto con riferimento agli oneri e neanche private con riferimento agli onori.


Durante l’incontro sono state avanzate varie proposte di riforma e varie censure del sistema attuale.
Il presidente di Cassa Forense Avv. Nunzio Luciano, il quale è anche vicepresidente di Adepp, ha ricordato che ci si aspetta a breve l’intervento nella legge di stabilità preannunciato dal Prof. Mauro Marè e che sarà un passaggio fondamentale la costituzione di una fondazione a livello comunitario, tra tutte le Casse dei paesi europei, necessario per poter raggiungere gli obiettivi di uniformità e di equità auspicati.

Avv. Marcello Adriano Mazzola - Delegato di Cassa Forense


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