Avvocati in crisi: lascio o raddoppio?

di Massimo Grotti

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Ottica del Ministro a parte, sono stati proprio gli avvocati (oltre 8.000) che hanno fornito i dati al Censis a evidenziare come la categoria sia ancora caratterizzata da organizzazione di studio minimale, con oltre il 65% dei legali che esercitano in uno studio unicellulare (anche nel “moderno” nord si sfiora il 60%) ovvero composto solo da un avvocato, al massimo con una impiegata (o spesso Praticante).
Scarseggiano le vere associazioni professionali che appena raggiungono il 15% nel migliore dei casi (nord), ciò a dimostrazione che è ancora lontano nella testa dell’avvocato il concetto di “organizzazione imprenditoriale” verso la quale le normative, sempre più pressanti, spingono la categoria.
Ove è anche logico che la maggior parte dei clienti degli studi legali sia di tipo “locale” (il 70% circa) visto il modo di lavorare e le caratteristiche del mercato legale, ancorato alla conoscenza personale con il professionista, difficile è immaginare come gli studi unicellulari possano reggere l’impatto della diffusione di strutture organizzate, in avanzamento, che oltre ad avere, nel tempo, monopolizzato il mercato dei “grandi clienti”, hanno iniziato ad aggredire anche il mercato dei “privati” con l’introduzione di forme pubblicitarie dirette o indirette (ovvero tramite organizzazioni di categoria e altre associazioni).


L’avvocato, visti i dati, si troverà presto davanti ad un bivio (lascio o raddoppio?) dal quale non potrà trovare strade alternative, o imparerà a modificare la propria mentalità individualista o sarà relegato (salve ovvie eccezioni di qualità) ad aree residuali del mercato legale.
I dati rilevati dal Censis fanno emergere una figura triste e malinconica degli avvocati che sembrano rassegnarsi ad un lento, ma inesorabile, tramonto con redditi in calo (così hanno dichiarato il 44% degli intervistati) o al massimo in fase di stasi (il 30% ma su questo può aver influito una risposta di orgoglio e pudore).
I motivi della crisi economica sono a tutti noti, è infatti innegabile la generale difficoltà negli incassi, l’aumento indiscriminato dei costi di esercizio, l’aumento della concorrenza, la cronica inefficienza del sistema giustizia (tutti motivi denunciati nel rapporto Censis), ma è sorprendente come una classe intellettualmente viva e “ storicamente rivoluzionaria” come quella degli avvocati si sia posta in uno stato di annebbiamento prospettico spesso senza ricerca di vie d’uscita ed in attesa che un qualche “organo superiore” trovi la panacea per le loro sofferenze.
Colpisce la sorta di rifiuto ad accogliere la sfida, ciò mentre la società attuale corre in senso opposto all’anacronistica visione che emerge dal rapporto Censis.
Le soluzioni non sono facili, e non sono a costo zero, non sono da ricercarsi di certo nell’isolamento e nella rendita di posizione ormai persa.
All’avvocato italiano viene chiesto (non solo dal Ministro ma anche dalla società) di uscire dalle sue incrostate logiche e di far valere la sua cultura, la sua etica, la sua forza propositiva, perché non ci sia solo un tramonto ma anche una nuova alba.


Come tutte le sfide anche questa non la si può affrontare da soli, la forza dovrà essere ricercata in risorse non solo personali ma d’insieme, ovvero mediante associazioni (o altre forme societarie) sempre più in grado di fornire servizi specializzati di alto livello, di sostenere in modo economico le rilevanti spese d’esercizio, di poter dedicare all’aggiornamento ed allo studio un tempo indispensabile, di sfruttare al meglio la tecnologia che ormai pervade il nostro lavoro, di poter presentare il proprio “prodotto” (perché di questo in fondo si tratta) in modo accattivante.
Quanto sopra sembrerebbe più adatto ad una attività d’impresa che ad uno studio professionale, ma ….. siamo certi che questo sia peggiore di questa lenta agonia?
Dai dati oggetto del rapporto emerge con chiarezza che gli avvocati non sono avvocati per caso, o solo per convenienza, ma che hanno dentro un fuoco ancora vivo e che vorrebbero alimentare ancora, circa il 30% dice di aver fatto l’avvocato per desiderio, circa il 50% di aver passione, circa il 39% per voglia di stare in proprio. O siamo tutti dei bugiardi o dobbiamo raccogliere le sfide sopra illustrate e ritrovare la spinta dei giorni migliori. Per questo è indispensabile però che i più anziani non spengano gli ardori dei più giovani che non li mortifichino in un “praticantato eterno” ma che anzi li spingano e gli forniscano, dove serve, i mezzi per poter lottare senza egoismi e ricordandosi che una pianta senza radici da cui trarre linfa ben presto muore (i sistemi pensionistici si basano anche sui nuovi contribuenti).
Per far rinascere una nuova alba servirà fuoco (motivazioni e cultura) e vento (voglia di modernizzarsi) …poi potremo dire se siamo riusciti o meno ma almeno ci avremo provato, come prima di noi ci hanno provato quei colleghi che nella storia hanno sempre combattuto contro situazioni che non gradivano…spesso vincendo.

 Avv. Massimo Grotti – Delegato di Cassa Forense

 

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