Assicurarsi (ora) un dovere

di Marcello Adriano Mazzola

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Una selva a volte indistricabile, a volte oscura, nella quale ci dobbiamo addentrare, assumendo sempre di più rischi elevati. Ancor più elevati ove si pensi che gli adempimenti paragiudiziali (gestione di processi telematici, peraltro vari ed incompiuti; anticorruzione, anti riciclaggio, tutela e trattamento dei dati di privacy, infortuni sul lavoro, sicurezza sul lavoro etc.) gravanti sull’avvocato siano aumentati a dismisura. Tutto questo realizza ancor più compiutamente l’aforisma ricorrente, seppur paradossale, che vuole nel “cliente il peggior nemico dell’avvocato”. Dall’11 ottobre 2017, a seguito dell’entrata in vigore a pieno regime del Decreto del Ministero della Giustizia 22 settembre 2016, (in G.U. 11 ottobre 2016, n. 238) recante “Condizioni essenziali ed i massimali minimi delle polizze assicurative obbligatorie della responsabilità civile e degli infortuni derivanti dall’esercizio della professione di avvocato”, finalmente si potrà (ergo si dovrà) arginare questa deriva di crescente responsabilità attraverso l’“assicurazione obbligatoria” per la responsabilità civile, prescritta sin dall’art. 12 l. 31 dicembre 2012, n. 247, ma poi rimasta “sospesa”. E sul versante dell’obbligo “infortuni”, scelta anche assai criticata per l’irrazionalità.[1]


Oltre ad aver subito il legislatore alcune prescrizioni tanto da parte della giurisprudenza, ad es. con riferimento alla delicata claims made [2] quanto dalla stessa AGCOM.[3]

Gli obblighi a carico degli avvocati sono pertanto due: una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile (per tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, causati ai clienti e a terzi) derivante dall’esercizio della professione e una polizza a copertura degli infortuni derivanti sia a sé che ai propri collaboratori e dipendenti. Non tutti sono entusiasti di una tale novità: “Il problema dell’obbligo di assicurazione, peraltro, si aggrava se si riflette sulla tendenza –direi ormai socio-antropologica- a voler perpetuare i giudizi, a non rassegnarsi mai alla soccombenza, cercando di imputarne a qualcuno la responsabilità: il fatto che l’avvocato sia assicurato tende ad alimentare il contenzioso dei clienti verso gli avvocati.”.[4]

I mutati scenari in materia di responsabilità civile [5] pretendono oramai pure un «cambiamento culturale».

Infatti in generale nella cultura dell’avvocato è ancora radicata l’idea che il “bravo professionista” non debba sbagliare e che il risultato finale dipenda dal giudice [6] , dall’inefficienza della giustizia, dal collaboratore, dalla sfortuna. Equivoco che si alimenta pure nell’art 2236 c.c., secondo cui per le obbligazioni di mezzi «Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave». Mentre “L’art. 2236 c.c., quindi, non può considerarsi un privilegio di categoria, ma piuttosto un criterio di analisi della responsabilità, che tiene conto della natura delle prestazioni e dell’opinabilità di tante soluzioni: il che vale non solo per l’avvocato ma per tutte le professioni intellettuali.” [7]. Ma la giurisprudenza ha da anni aumentato i casi in cui l’avvocato non può invocare l’applicabilità di tale limitazione di responsabilità. Ed il convincimento assoluto che la nostra prestazione d’opera intellettuale sia esclusivamente un’obbligazione di mezzi e non di risultato è stata pure smentita.


Peraltro oramai si possono individuare almeno quattro profili di responsabilità: penale, civile, amministrativa o contabile e disciplinare. Con riflessi anche nella responsabilità del professionista verso il cliente. Sicchè è fondamentale non trovarsi impreparati ed esposti (personalmente ma anche a tutela del cliente) a conseguenze nefaste, economicamente anche devastanti.

La cui responsabilità deve comunque confrontarsi con svariati altri problemi. Con la prescrizione, poichè l’azione risarcitoria inizia a prescriversi non dal momento in cui il fatto o l’omissione sono stati compiuti, ma dal momento in cui il danno si è realizzato o ci si poteva ragionevolmente rendere conto della sua esistenza. Anche nell’individuazione del dies a quo, il fatto che il danno possa consistere in una mera chance e non in un fatto oggettivamente realizzatosi rende ardua l’individuazione del momento del suo insorgere. Occorre difatti mettere a fuoco due momenti: il fatto produttivo del danno ed il momento in cui il danno si produce (per i danni lungo-latenti emergono soltanto molto tempo dopo il fatto, spesso dopo anni di procedimenti giurisdizionali).

Il punto nodale del d.m. 22 settembre 2016, recante il modello legale della polizza professionale, è dunque certamente rappresentato dall’art. 2, il quale, nel disciplinare l’efficacia nel tempo della copertura assicurativa, statuisce che la polizza “deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”. Sicchè il modello legale prescelto, dopo ampio confronto, “- attraverso la previsione di una garanzia con “retroattività illimitata”, nonché con “ultrattività almeno decennale” in caso di cessazione dell’attività (c.d. sunset clause) - è chiaramente improntato allo schema della clausola claims made, secondo il modello c.d. puro. (…) In particolare, la clausola claims made pura opera senza alcuna limitazione temporale, in modo tale che la garanzia è prestata per le richieste di risarcimento ricevute dall’assicurato per la prima volta durante la vigenza del contratto, a prescindere dal momento in cui si è realizzata la condotta oppure si è manifestato il danno”.[8]


Invero, la previsione di una “retroattività illimitata” si discosta dal modello di assicurazione della responsabilità delineato dall’art. 1917 c.c., in cui la garanzia è collegata al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” (c.d. loss occurred). Il sistema claims made, rispetto ai tradizionali modelli di assicurazione incentrati sul loss occurence o sull’act committed, ha contemperato l’esigenza delle imprese di assicurazione di avere un’esposizione finanziaria delimitata nel tempo e l’interesse degli assicurati di poter beneficiare di una garanzia rispetto a rischi che altrimenti avrebbero potuto rimanere privi di copertura, o che avrebbero potuto ricevere copertura assicurativa solo a costi elevati.

Conferma fornita anche dall’art. 2 del d.m. 22 settembre 2016, in punto di “ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”.

La previsione di una “retroattività illimitata” quale condizione essenziale della copertura assicurativa della r.c. dell’avvocato è dunque posta certamente a tutela della parte danneggiata, ma al contempo anche nell’interesse dell’avvocato e dei suoi eredi chiamati a risarcirla.

Se nonché è ora intervenuta la legge annuale per il mercato e la concorrenza (l. 4 agosto 2017 n. 124, in G.U. 14 agosto 2017 n. 189) e, secondo i primi commenti, pare abbia di nuovo alterato la recente decisione del legislatore. E’ infatti intervenuto sulle condizioni generali delle polizze assicurative di R.C. dei professionisti, con l'art. 1, co. 26 che ha integrato l'art. 3, co. 5, lett. e) d.l. 13 agosto 2011 n. 138 convertito, con modificazioni, dalla l. 148/2011, cui ha aggiunto tre periodi consecutivi: “1. «In ogni caso, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura». 2. «La disposizione di cui al periodo precedente si applica, altresì, alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione». 3.«A tal fine, a richiesta del contraente e ferma la libertà contrattuale, le compagnie assicurative propongono la rinegoziazione del contratto al richiedente secondo le nuove condizioni di premio».”.

Si osserva infatti che la norma “abbandona definitivamente lo schema assicurativo della clausola claims made (…) impone definitivamente, con l'utilizzo del lemma “prevedono”, la clausola claims made impura ma con un'obbligatoria ultrattività decennale, che rende così tipica la clausola claims made impura (con ultrattività pari alla prescrizione ex lege) e che altro non è che la tradizionale copertura assicurativa loss occurence, ex art. 1917 c.c.. La garanzia assicurativa prevista dalla norma, infatti, è prestata in presenza contemporanea e necessaria di due presupposti: 1. che i danni siano stati cagionati durante il periodo di vigenza della polizza; 2. che i danni siano reclamati nel termine di dieci anni (…) La novità è retroattiva e si applica anche alle polizze assicurative in corso. La norma, seconda parte, prevede l'applicabilità della copertura assicurativa loss occurence alle polizze assicurative in corso di validità alla data del 29 agosto 2017.”. [9]


E come noto vige il principio lex superior derogat legi inferiori. Cassa Forense ha comunque negoziato, nei mesi antecedenti alla legge annuale per il mercato e la concorrenza (l. 4 agosto 2017 n. 124), diverse polizze assicurative con varie compagnie, anticipando l’entrata in vigore delle prescrizioni del d.m. 22 settembre 2016, nell’intento di ottenere le migliori condizioni possibili a favore di tutta la categoria. Ovviamente poi, a seconda della necessità di personalizzare la polizza sulle proprie particolari esigenze (dimensioni dello studio, materie trattate, fatturato, tipologia della clientela, analisi del pregresso, massimale etc.), occorre prestare molta attenzione alla negoziazione “sartoriale”. Una scelta fondamentale per il futuro che dunque pretende attenzione. Una diligenza qualificata nel proprio precipuo interesse.

Avv. Marcello Adriano Mazzola - Delegato Cassa Forense

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[1] CHIARA TINCANI, ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULL’ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA DEGLI INFORTUNI DEGLI AVVOCATI, ALLA LUCE DEL DECRETO MINISTERIALE 22 SETTEMBRE 2016, in ADL 6/2016.

[2]Cass., SS.UU., 6 maggio 2016 n. 9140 nel valutare la legittimità della clausola claims made, invia un monito diretto agli organismi preposti alla “stipula delle ‘convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti’”, nonché al legislatore che deve stabilire i “requisiti minimi ed uniformi per l’idoneità dei relativi contratti”, evidenziando come l’obbligo di assicurazione a carico del professionista sia stato sancito nel preminente interesse del danneggiato, esposto al pericolo “che gli effetti della colpevole e dannosa attività della controparte restino, per incapienza del patrimonio della stessa, definitivamente a suo carico”, così ponendo dubbi sulla validità di una polizza con “clausola claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura”. Di fatto i Supremi Giudici hanno confermato la validità del sistema

[3]Parere Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, 4 luglio 2014, n. AS1137, in www.dejure.it.

[4]ENRICO DEL PRATO, Responsabilità civile e assicurazione obbligatoria nella professione forense, Roma 23 ottobre 2015.

[5]GIOVANNI FACCI, L’assicurazione obbligatoria dell’avvocato al tempo delle claims made: il recente D.M. 22 settembre 2016, in Corriere giuridico 2/2017, 153 ss.: “Si è così assistito ad un ampliamento della nozione di “colpa professionale” dell’avvocato, che ha travalicato i confini della violazione delle sole c.d. “regole del processo”, giungendo a lambire, talvolta, anche le scelte tecniche difensive assunte nella conduzione della lite oppure la violazione del dovere di informazione da parte del professionista legale. Al contempo, il riconoscimento del danno da perdita di chance ha comportato un drastico allargamento della tutela risarcitoria dei clienti delusi dall’attività del legale.”

[6]PIERO CALAMANDREI, Limiti di responsabilità del legale negligente, in Riv. dir. proc. civ., 1931, II, 260, sottolineava che “ogni sentenza è il prodotto di una quantità di fattori imponderabili, molti dei quali sono irriproducibili fuori dall’ambiente in cui la sentenza è pronunciata: solo chi vive estraneo alla pratica forense ed osserva il fenomeno giudiziario in vitro, può credere, che i giudici siano automi forniti tutti dello stesso congegno, che fanno sempre di sì quando si tocca la stessa molla, in modo che la stessa causa, portata dinanzi a dieci giudici diversi, debba dar luogo necessariamente a dieci sentenze uguali, simili a dieci positive di una negativa sola. In realtà ogni processo ha la speciale sua atmosfera, risultante dalla combinazione dei più svariati elementi: l’abilità degli avvocati, l’intelligenza dei giudici, l’opinione pubblica, il clima. Può accadere perfino che lo stesso giudice, posto in momenti diversi, magari in diverse ore della stessa giornata, dinanzi alla stessa questione, sia disposto a deciderla in modo diverso, secondo lo stato della sua salute o secondo il suo umore. Non per niente certi statuti medioevali prescrivevano che i giudici dovessero sentenziare sempre nelle ore mattutine, prima di pranzo”.

[7]ENRICO DEL PRATO, Responsabilità civile e assicurazione obbligatoria nella professione forense, Roma 23 ottobre 2015.

[8]GIOVANNI FACCI, L’assicurazione obbligatoria dell’avvocato al tempo delle claims made: il recente D.M. 22 settembre 2016, in Corriere giuridico 2/2017, 156.

[9]MICHELE LIGUORI, Clausola claims made bye-bye: l’assicurazione obbligatoria della RC dei professionisti vira inaspettatamente verso la loss occurence, in Ridare.it, 4.9.17.


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