AVVOCATI MONOCOMMITTENTI, LO STUDIO DI CASSA FORENSE
23/11/2023
Stampa la paginaQuanto incide la monocommittenza nel mondo forense? Quali le prospettive future? Quale deve essere l'approccio al fenomeno da parte dell'Avvocatura Italiana? Sono i temi ai quali si proporne di rispondere il Rapporto sulla Monocommittenza, lo studio realizzato da Cassa Forense in collaborazione con la Fondazione Luigi Einaudi, che è stato presentato ieri a Roma nell'Auditorium di Cassa.
In una posizione intermedia tra il lavoratore autonomo e quello dipendente, indirizzato di volta in volta più verso una o l’altra di queste figure, l’avvocato monocommittente richiede una regolamentazione normativa e/o contrattuale adeguata, con la individuazione di diritti ed obblighi ben definiti, normalmente lasciati alla discrezionalità dell’avvocato committente (al contrario di quanto avviene in altri paese, ad esempio, in Francia, dove il fenomeno è regolamentato e la normativa distingue tra collaborateur libéral e avocat salarié).
In ogni caso, come scrive il Presidente di Cassa Forense Valter Militi nella Prefazione del Rapporto, "l’analisi della monocommittenza va inserita in un contesto più ampio che vede contrapposte diverse modalità di esercizio e/o visioni della professione: da un lato chi - pur senza specifiche tutele, ma con un trattamento economico che, per certi versi, radicalizza l’idea della stabilità - decide di prestare la propria attività per un singolo avvocato o studio professionale; dall’altro chi - senza tutele e senza garanzie reddituali – decide di non abbandonare l’indipendenza dell’azione professionale, l’autonomia delle scelte e la libertà del giudizio intellettuale, quali garanzie poste a presidio della tutela dei diritti e dell’alto ruolo sociale della funzione difensiva".
L'urgenza di una riflessione ampia che abbracci tutta la categoria forense emerge anche dai dati elaborati da Cassa, secondo i quali il fenomeno della monocommittenza è ormai tutt'altro che marginale: sul numero totale di avvocati iscritti all’albo nel 2022, pari a 240.019, ben 13.518, pari al 5,63%, hanno dichiarato alla Cassa Forense in sede di “Modello 5/2022” di conseguire tra il 91% ed il 100% del proprio reddito da un altro avvocato. Non solo. Non si tratta più di un fenomeno circoscritto agli avvocati all’inizio del proprio percorso professionale.
L’età media dei professionisti monocommittenti è di 39,21 anni, con dato sostanzialmente immutato tra uomini e donne e in lieve aumento nel 2022, con un +2,51 % rispetto al 2020 e un + 1,27% rispetto al 2021.
Ancora, il 20,4% degli studi legali più grandi (quelli con 5 persone e oltre), nel corso del 2022 ha aumentato il numero delle persone occupate, a fronte di un sostanziale stazionamento del settore nel suo complesso, sia in termini di personale impiegato che di fatturato. Il fenomeno della monocommittenza tuttavia non appare correlato solo ai bassi redditi, dato che il reddito medio dell’avvocatura in generale è assestato, nell’anno 2021, a € 42.386 e circa il 28% dei monocommittenti ha percepito un reddito superiore a tale somma. Un ulteriore 27,73% del totale dichiara redditi compresi tra € 20.000 e € 40.000, non eccessivamente bassi se si considera che questi professionisti sono, nel sistema fiscale vigente, sottoposti al vantaggioso regime forfettario ex art. 1, cc. 54 e ss., L. 190/2014 e che le retribuzioni annue lorde medie in Italia nello stesso anno 2021 erano pari a € 29.500 (Fonte Istat).
Sul piano economico-sociale, la monocommittenza insomma non va considerata come un fenomeno monolitico, relegato alla sola dipendenza economica di un collaboratore da un altro professionista o da una società tra avvocati.
Essa infatti comprende una casistica molto variegata che non sempre deriva da fenomeni strettamente attinenti al mercato del lavoro legale, ma piuttosto da scelte individuali del committente o del collaboratore.
Sul piano giuridico, appare evidente come i professionisti che si trovino a prestare, in regime libero-professionale, attività di lavoro autonomo in favore di un singolo committente non possano vantare un complesso di tutele che garantisca loro un regime giuridico paragonabile a quello dei lavoratori subordinati, con i quali condividono, tuttavia, alcuni profili di dipendenza economica.
Di qui la necessità di un inquadramento normativo, individuando specifiche regole e tutele, che siano idonee a garantire coloro che vivono una condizione di una collaborazione professionale sulla quale il potere organizzativo del committente incide profondamente, sia sul piano della dipendenza economica, sia su quello di collocazione dell’attività professionale nei tempi e nei luoghi stabiliti dall’organizzazione stessa.
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