STOP AL SINDACATO PENALE SULL’ ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

di Lorena Puccetti

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Convertita in legge la riforma dell’abuso d’ufficio inserita nel decreto semplificazioni

Il 10 settembre è stato convertito in legge il d.l. 16 luglio 2020 n. 76, recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.

Gli emendamenti apportati in sede di conversione non hanno riguardato l’art. 23 del decreto in base al quale all’art. 323, primo co. del c.p., le parole “di norme di legge o di regolamento”, sono sostituite dalle seguenti: “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Le modifiche all'art. 323 c.p. sono le seguenti. In primo luogo, si è chiarito che soltanto la violazione di regole di condotta “specifiche” ed “espressamente previste” può integrare l’abuso d’ufficio. In secondo luogo, la nuova norma, precisando che le regole di condotta  devono essere contenute in fonti primarie, esclude che la violazione di meri regolamenti possa costituire il reato in questione. Infine, agli effetti dell’abuso d’ufficio, rilevano solo le regole di condotta in relazione alle quali il funzionario non abbia alcun margine di discrezionalità. Il resto dell’art. 323 non è stato oggetto di intervento e quindi è rimasta inalterata la condotta alternativa relativa all'inosservanza dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto.

L’obiettivo della riforma, sintetizzato dallo slogan “stop alla paura della firma”, è quello di rassicurare i funzionari pubblici, chiamati ad applicare le misure di sostegno per l’economia previste nel decreto semplificazioni, restringendo l’area dell’abuso d’ufficio. In particolare, dall'indicazione che solo la violazione di regole di condotta specifiche ed espressamente previste può dar luogo al reato, traspare l’intento di riaffermare quanto era già stato sancito nel 1997 dal legislatore con la modifica dell’art. 323. La legge 234/1997, con l’introduzione della locuzione “in violazione di norme di legge o di regolamento”, era finalizzata a rendere più selettiva la fattispecie di cui all’art. 323, escludendo che l’abuso d’ufficio potesse essere ravvisato nella violazione di principi generali.

Come è noto, nell'interpretare l’art. 323 un consolidato orientamento della giurisprudenza afferma da tempo che il requisito della violazione di legge può essere integrato anche dall'inosservanza dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. E’ evidente che una simile lettura, attribuendo rilievo anche alla violazione di principi generali, per loro natura indeterminati, ha vanificato l’intervento legislativo del 1997.

La ratio del decreto semplificazioni è dunque quella di sottrarre definitivamente al sindacato penale le condotte dei pubblici ufficiali che non siano caratterizzate da violazioni di legge specifiche e ben determinate. Se nell’esigere un preciso fondamento normativo la nuova fattispecie appare più rispettosa del principio di tassatività, peraltro anche in questa prospettiva garantista appare opinabile l’esclusione dei regolamenti dalle fonti normative la cui violazione può integrare l’abuso d’ufficio. Tenuto conto che ampi settori della pubblica amministrazione sono disciplinati da fonti regolamentari, è irragionevole escludere dall’art. 323  le condotte poste in essere in violazione di norme le quali, pur essendo secondarie, sono specifiche e cogenti.

Inoltre, in base al novellato art. 323 non può più costituire abuso d’ufficio la violazione di regole di condotta caratterizzate da margini di discrezionalità con la conseguenza che il reato è ravvisabile solo se gli atti attraverso i quali si svolge la pubblica funzione abbiano carattere del tutto vincolato. L’obiettivo è quello di salvaguardare la discrezionalità amministrativa sottraendo in particolare dall'alveo dell’abuso d’ufficio la decisione viziata dal c.d. eccesso di potere.

Tale vizio è ravvisabile quando l’atto, pur conforme ai parametri normativi, non riflette lo scopo in funzione del quale al pubblico ufficiale è attribuito un determinato potere.

Pur essendo apprezzabile la volontà di preservare il funzionario che esercita la propria potestà decisionale dal rischio di procedimenti penali spesso privi di fondamento, tuttavia la nuova formulazione dell’art. 323 restringe eccessivamente l’ambito di applicazione della norma. Infatti, per sua stessa natura, l’attività amministrativa implica quasi sempre un margine di discrezionalità con conseguente impunità ai sensi del nuovo art. 323.

In definitiva, la riformulazione dell’art. 323 rappresenta una depenalizzazione di numerose condotte prima riconducibili a tale norma. Precisamente, non costituiscono più reato le condotte poste in essere in violazione di regole di condotta che non siano ricavabili da norme specifiche ed espresse o che provengano da regolamenti e soprattutto l’attività amministrativa anche in minima parte discrezionale è ormai sottratta alla sfera dell’art. 323. Trattandosi di una parziale abolitio criminis, per i fatti pregressi che non siano più punibili in base all’attuale art. 323 c.p., l’entrata in vigore della legge di conversione comporta il proscioglimento nei procedimenti in corso e l’eventuale revoca delle sentenze passate in giudicato ai sensi dell’art. 673 c.p.p.

La conversione senza emendamenti dell’art. 23, anche se discutibile, ha quantomeno evitato profili problematici ulteriori connessi alla successione delle norme penali.  Infatti, se tale norma fosse stata convertita con modifiche, in base all’art. 2, co. 6, c.p. -come interpretato a seguito della sentenza n. 51/1985 della Corte costituzionale- i fatti depenalizzati dal decreto-legge commessi nel periodo della sua vigenza non sarebbero stati più punibili anche se nuovamente incriminati dalla legge di conversione. 

Ma non sono solo i problemi di diritto intertemporale, che la natura provvisoria del decreto-legge acuisce, a sconsigliarne l’impiego in ambito penale, bensì il fatto che l’urgenza contrasta con l’esigenza di ponderazione necessaria in questa materia. La scelta di restringere drasticamente la fattispecie dell’abuso d’ufficio, lungi dall’avere ragioni di necessità e di urgenza, costituisce una decisione politica che avrebbe richiesto un dibattito parlamentare da svolgersi secondo il normale iter legislativo. Anche perché l’art. 23 inserito quale norma ”eterogenea” nell’ambito del provvedimento, non si limita ad allentare la responsabilità penale dei funzionari che devono applicare le procedure previste nel decreto semplificazioni, ma ridimensiona l’abuso d’ufficio in relazione a tutta l’attività amministrativa.       

Purtroppo, l’utilizzo del decreto- legge è da tempo diventato il metodo normale per legiferare anche in tema di responsabilità penale.

Il rischio è che eventuali dubbi di legittimità costituzionale del decreto legge, in mancanza dei presupposti che lo legittimano, si riflettano sulla tenuta delle norme penali. A questo punto, ciò che appare davvero urgente è porre fine al costante abuso del decreto- legge in materia penale. 

Avv. Lorena Puccetti - Foro di Vicenza


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