SENTENZA IMPREGILO
10/11/2022
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Metodi di valutazione di adeguatezza del modello organizzativo, dei poteri dell’organismo di vigilanza e della condotta fraudolenta degli amministratori
La sentenza Impregilo: per la Cassazione, l’ente non risponde
Dopo cinque gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha statuito (sentenza n. 23401/2022), in via definitiva, che Impregilo S.p.A. non è responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 24 ter, lett. r), d.lgs. 231/2001.
La decisione conferma il secondo giudizio d’appello, favorevole alla società, disposto dalla stessa Cassazione su impugnazione della Procura generale presso il Tribunale di Milano.
La valutazione sull’idoneità del modello organizzativo
La Sesta Sezione, nell’entrare nel “merito” della questione, ha rilevato che, “indiscussa la preventiva adozione del modello organizzativo da parte della società, il tema attiene all’idoneità di esso a ridurre il rischio di commissione dei reati connessi alle attività informative della medesima rispetto al mercato e gli enti regolatori dello stesso”.
Per affrontare l’argomento, la Sesta Sezione procede all’analisi preliminare di ciò che non deve essere valutato, ossia degli elementi che non possono essere posti a fondamento di una motivazione di inidoneità del modello.
In primo luogo (§ 7.1), l’art. 6 del d.lgs. 231/20221 non prevede alcuna inversione dell’onere probatorio: spetta all’accusa provare, in concreto, la “colpa di organizzazione”.
In secondo luogo (§ 7.2), la mera commissione di un reato che determini un vantaggio a favore dell’ente non determina, ipso facto, la responsabilità per colpa organizzativa: diversamente, la previsione dell’art. 6 sarebbe priva di efficacia esimente concreta e verrebbe abrogata per via interpretativa.
La Sesta Sezione, quindi, arriva alla conclusione che “l’ente risponde in quanto non si è dato un’organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla”.
La sentenza di primo grado e la sentenza di appello avevano ritenuto adeguate le procedure, data la necessaria partecipazione di diverse articolazioni aziendali, oltre che degli organi di vertice.
Sotto questo profilo quindi, la Corte ha ritenuto che le sentenze di merito fossero congrue nella motivazione e, pertanto, non censurabili.
L’adeguatezza e l’effettività dei poteri dell’organismo di vigilanza e sua autonomia (e nesso causale)
Il “punto di criticità del modello” viene individuato, invece, nei poteri di vigilanza attribuiti dal modello all’organismo di vigilanza e all’autonomia di quest’ultimo rispetto ai vertici societari.
La questione era già stata evidenziata nel primo giudizio di legittimità ed aveva determinato l’annullamento con rinvio, affinché la Corte d’appello entrasse più specificamente nel merito della questione.
La premessa logico-giuridica è che l’organismo di vigilanza deve avere, ex art. 6, d.lgs. 231/2001, “autonomi poteri di controllo”.
Deve, in altri termini, avere un certo grado di autonomia rispetto agli amministratori, pur non essendo richiesto per legge che sia esterno rispetto alla struttura dell’ente.
Non deve, in altri termini, ridursi a mero “simulacro”, a soggetto apparente e non dotato di effettivi poteri di controllo.
La criticità del caso concreto nasceva dal fatto che l’o.d.v. di Impregilo era costituito da un compliance officer monocratico posto alle dirette dipendenze del presidente del consiglio d’amministrazione, anche se sganciato dalla sottoposizione alla direzione amministrativa.
La Corte di Cassazione, sia nel primo giudizio di legittimità che nella sentenza in commento, afferma l’inadeguatezza di un o.d.v. così impostato o, quantomeno, ne evidenzia il “punto di debolezza”; conclude, però, la questione affermando che è necessario slegare la responsabilità dell’ente da quella dei vertici, “riconducendo la prima solo a quelle condotte causalmente ricollegabili ad una colpa di organizzazione, che costituisca, ad un tempo, anche il metro dell’ingerenza consentita all’organismo di vigilanza sugli atti degli apicali e quindi anche il contenuto di un modello, perché questo possa ritenersi idoneo”.
In conclusione, la Cassazione afferma, apertis verbis, il principio per cui non è ipotizzabile un controllo preventivo su qualunque atto degli apicali dell’organizzazione da parte dell’o.d.v., perché l’art. 6, comma1, lett. b), del d.lgs. 231/2001 prevede che i compiti dello stesso si limitino a individuare e segnalare le criticità del modello e della sua attuazione.
Nel caso di specie, quindi, la Sesta Sezione ha ritenuto che il modello organizzativo di Impregilo fosse idoneo ed effettivo, pur in difetto di una previsione di un controllo preventivo sui comunicati stampa del presidente e dell’amministratore delegato.
In altri termini, il margine di autonomia di cui godevano gli apicali era ineliminabile perché “coessenziale al fascio di poteri e responsabilità loro riconosciute dalla legge civile”.
La condotta fraudolenta dei vertici aziendali
La Cassazione ha, infine, analizzato il profilo dell’elusione fraudolenta del modello organizzativo da parte del presidente e dell’amministratore delegato, ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’ente prevista dall’art. 6, comma 1, lett. c), d.lgs. 231/2001.
La Sesta Sezione, riprendendo anche le sentenze precedenti, prende posizione affermando che la condotta elusiva sia “ingannevole, falsificatrice, obliqua subdola” e che integri, sostanzialmente, una dissociazione degli apicali dalla politica aziendale impostata con il modello organizzativo.
Nel caso in esame, il modello organizzativo prevedeva una procedura a più fasi che coinvolgeva diversi soggetti: l’iniziativa estemporanea degli apicali è stata posta in essere approfittando del margine di autonomia loro necessariamente concesso.
La condotta è stata, quindi, inevitabilmente ingannevole, falsificatrice, obliqua e subdola, con conseguente esonero dell’ente da responsabilità.