Rinuncia alla proprietà immobiliare: la Cassazione chiarisce i termini

di Gianluca Mariani

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Con la sentenza n. 23093 depositata l’11 agosto 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno sancito la piena validità dell’atto unilaterale di rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare, anche se motivato da ragioni personali, economiche o gestionali, senza necessità di perseguire un interesse collettivo. Si tratta di un negozio giuridico valido di per sé, che non richiede alcuna accettazione da parte di terzi.

La pronuncia pone fine a un contrasto giurisprudenziale: mentre alcuni orientamenti ritenevano nulla la rinuncia priva di una “giustificazione sociale”, le Sezioni Unite hanno affermato che tale atto è valido anche se motivato da convenienza individuale.

L’atto si perfeziona con la forma scritta (atto pubblico o scrittura privata autenticata) e la trascrizione nei registri immobiliari; non è richiesta l’accettazione da parte dello Stato. L’effetto giuridico è automatico: il bene entra ipso jure nel patrimonio dello Stato ai sensi dell’art. 827 c.c.

La Corte ha escluso che un “fine egoistico” possa comportare la nullità dell’atto, sia per contrasto con l’art. 42, comma 2, della Costituzione, sia per illiceità della causa. Le limitazioni imposte dalla funzione sociale della proprietà devono derivare da una norma legislativa, non da interpretazioni giudiziali.

La sentenza distingue nettamente l’atto di rinuncia abdicativa da altre fattispecie come l’abbandono materiale o liberatorio: si tratta di un gesto formale e trascrivibile, non di una semplice omissione di cura o di una rinuncia implicita.

Sul piano operativo, la Corte ha precisato che l’atto di rinuncia non esonera il proprietario da responsabilità pregresse: tributi, danni o obblighi ambientali rimangono a suo carico, anche dopo la perdita della proprietà. La comunicazione all’Agenzia del Demanio non incide sulla validità, ma ne può ridurre il rischio contenzioso.

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