Prescrizione e divieto di reformatio in pejus: una (prima) valutazione delle proposte di riforma.

di Vincenzo Comi - Antonio Mazzone

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La prima considerazione riguarda la proposta di blocco della prescrizione dopo l’emissione della sentenza di primo grado.

Il blocco della prescrizione, tout court, contrasta col principio costituzionale italiano e convenzionale europeo della ragionevole durata del processo. Principio, quest’ultimo, che ha una sua piena e precisa “concretezza”, e che non si risolve in una mera enunciazione teorica.

Un processo che duri all’infinito non è ammissibile, né sul piano costituzionale e convenzionale, né sul piano del diritto naturale. Se si intende prospettare l’ipotesi di blocco della prescrizione come allo stato delineata nel codice penale, devono contestualmente introdursi i termini di fase (primo grado, appello, cassazione), la cui inosservanza deve essere anch’essa sanzionata con la previsione dell’effetto estintivo del reato.

Sulla durata del procedimento penale non può non osservarsi, poi, che sono state recentemente enunciate ipotesi di interpretazione della nuova normativa in tema di avocazione (nuova normativa diretta a ridurre drasticamente i tempi di durata del procedimento) che non appaiono condivisibili, in quanto, da un lato, non appaiono corrispondenti alla lettera di tale nuova normativa e, dall’altro, non appaiono aderenti alla sua funzione, che è quella di accelerare i tempi di trattazione e definizione del procedimento penale.

E’ compito dell’Avvocatura, in mancanza di un confronto ampio e approfondito e di elaborazione di soluzioni condivise, far presente che prima devono essere eliminati, “in astratto” e “in concreto”, tutti i “tempi non stringati” del procedimento penale, e soltanto dopo si potrà discutere di ulteriori riforme.

La seconda considerazione attiene alla proposta di abolizione del divieto di reformatio in pejus in appello in mancanza di impugnazione del P.M. . In un ordinamento strutturato sul principio devolutivo dell’impugnazione e caratterizzato da una recentissima riforma che ha ribadito l’inammissibilità dell’impugnazione in caso di insufficiente specificazione dei relativi motivi, appare di difficile inquadramento sistematico l’ipotesi di una reformatio in pejus in mancanza di appello del P. M. .

E diviene, anche, difficile individuare un’aderenza al diritto di difesa, come delineato in sede costituzionale italiana e convenzionale europea, dell’ipotesi dell’imputato appellante che debba difendersi dalla possibilità di un aumento di pena senza potersi relazionare a un atto di impugnazione del P.M. che spieghi perché la pena irrogata in primo grado sarebbe da ritenersi insufficiente.

Avv. Vincenzo Comi – Foro di Roma
Avv. Antonio Mazzone –  Foro di Locri

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