NULLITÀ DELLA SANZIONE DISCIPLINARE INFLITTA AL LAVORATORE TESTIMONE
05/10/2024
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Estensione del principio alla Pubblica Amministrazione Preclusione di procedimento disciplinare
Il Tribunale del Lavoro di Milano con sentenza n.1396, pubblicata il 12 giugno 2024, ha esteso alla Pubblica Amministrazione-nella specie un Dicastero- il principio, già sancito dal medesimo Tribunale con sentenza n.2724/2023, secondo il quale “non è possibile ritenere legittimo il provvedimento con il quale il datore di lavoro colpisca i testi (irrrogando sanzioni e licenziamenti) che si vedano chiamati a rendere dichiarazioni testimoniali in sede di giudizio pendente tra il proprio datore e altro collega di lavoro: questo-assolutamente originale e finora eccezionale approccio repressivo verso chiunque possa essere chiamato in qualità di teste a sostegno della tesi del lavoratore- mina le fondamenta del diritto di qualsiasi lavoratore di ottenere tutela contro atti illegittimi del datore di lavoro.
E’ sufficiente limitarsi a considerare che il lavoratore, chiamato in qualità di teste, non può rispondere al datore sotto il profilo disciplinare perché va a rendere un servizio obbligatorio di natura civica, che nel rapporto di lavoro pone il soggetto su un piano diverso da quello del suo essere lavoratore.
Dell’eventuale falsità-sempre che sia accertato- delle sue dichiarazioni, il lavoratore sarà chiamato a rispondere in sede penale, come qualsiasi altro cittadino”.
Il Tribunale meneghino ritiene che tale principio, a salvaguardia, non solo dei diritti del lavoratore, ma anche di quelli del cittadino, sia applicabile all’amministrazione pubblica che rivesta la qualifica di datore di lavoro, non potendo costituire giustificazione per un diverso trattamento rispetto al datore privato né la circostanza che il datore sia pubblico né il fatto che le dichiarazioni siano state rese nell’ambito di un procedimento disciplinare, essendo avvenute innanzi a un pubblico ufficiale con la conseguente responsabilità penale in ipotesi di falsità.
La sentenza in esame riguarda il caso in cui a una pubblica dipendente era stata irrogata, previo procedimento disciplinare, la sanzione della sospensione di un mese dal servizio con la decurtazione della metà della retribuzione spettante per quel periodo.
La sanzione era stata inflitta per avere la lavoratrice dichiarato, in qualità di teste, nel corso di un procedimento disciplinare promosso dal Dicastero contro altra lavoratrice, di avere assistito sul posto di lavoro ad un alterco fra due colleghi, a seguito del quale un collega aveva aggredito l’altra collega, causandone lesioni.
La dipendente testimone era stata sottoposta a sua volta a procedimento disciplinare per avere reso quella testimonianza, assunta dal Dicastero come falsa e pregiudizievole del rapporto fiduciario con l’amministrazione pubblica.
Ne era conseguito un provvedimento disciplinare che la pubblica dipendente aveva impugnato avanti il Tribunale del Lavoro il quale, accogliendone il ricorso, ha annullato la sanzione, oltre che per la sua infondatezza come da risultanze di causa, anche perché derivante da un procedimento disciplinare che non poteva essere promosso.
Infatti per la Giurisprudenza del Tribunale del Lavoro di Milano non è censurabile con una sanzione disciplinare il lavoratore che rende dichiarazione testimoniale a favore di altro lavoratore e contro il proprio datore, sia esso privato o pubblico. Il Datore non può perciò solo lamentare la compromissione del rapporto fiduciario con il suo dipendente, aprendo un procedimento di tipo disciplinare.
Tale condotta è incostituzionale, violando l’art.3 della Carta fondamentale e il principio di uguaglianza ivi sancito.
Il principio di uguaglianza deve essere rispettato anche dalla Pubblica Amministrazione, sia perché è inderogabile, sia perché nella specie si ricollegava a un obbligo giuridico, quale è il dovere civico e morale di testimoniare. Quest’obbligo sussiste anche nei confronti del lavoratore che sia pubblico dipendente, e anche se la testimonianza avvenga contro un datore di lavoro pubblico e al di fuori di un procedimento giudiziario.
Argomentare diversamente significherebbe disattendere principi cardine dell’Ordinamento, quale il citato principio di uguaglianza e, con riferimento alla P.A, quello di imparzialità, anch’esso di fonte costituzionale (art.97), recepito dall’amministrazione pubblica come presupposto della sua legislazione (art.2 dlgs 30.3.2002 n.165,1°comma). Si tratta di principi a tutela dei diritti e delle libertà che nessun soggetto, né pubblico né privato, può disattendere. Corollario di tale tutela è la preclusione, anche per il datore di lavoro pubblico, dell’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente che abbia reso dichiarazioni testimoniali contro l’interesse datoriale.
La illegittima apertura del procedimento disciplinare lo rende radicalmente nullo.