Non rimborsabili né compensabili i contributi eccedenti l'onere della ricongiunzione
18/11/2016
Stampa la paginaLa Corte Costituzionale, con la sentenza 30 novembre 2005, n. 439, prendendo spunto da una controversia vertente nei confronti della Cassa dei Commercialisti, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 5 marzo 1990, n. 45, nella parte in cui dispone che non si applichi la norma che prevede il diritto alla restituzione dei contributi a favore dei professionisti che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza avere maturato i requisiti per il diritto a pensione, anche in ragione dell’inesistenza di un principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati e della conseguente eccezionalità dell’istituto della restituzione dei contributi nel nostro ordinamento previdenziale. Tale istituto, infatti, è previsto solo a favore di determinate categorie di professionisti e non è regolato da norme uniformi e, d’altronde, la domanda di ricongiunzione, riconducibile ad una libera scelta dell’assicurato, fa sì che, qualora la facoltà di ricongiunzione venga esercitata, non sia irragionevole la scelta legislativa di far rivivere la regola generale (ossia quella dell’inesistenza di un diritto alla restituzione).
La Suprema Corte, chiamata prima del giudice delle leggi a pronunciarsi sulla problematica, ha stabilito che l’impossibilità per il soggetto iscritto alla Cassa di previdenza di utilizzare i contributi legittimamente versati in precedenza non comporta alcun diritto alla restituzione dei contributi medesimi, tenuto conto, tra l’altro, “dell’inapplicabilità – in ragione dell’autonomia e del carattere sinallagmatico dell’obbligazione contributiva e di quella previdenziale – dei principi in materia di risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive, nonché delle norme in tema di indebito oggettivo e di ingiustificato arricchimento” (Cass., Sez. Lav., 29 ottobre 2001, n. 13382), con ciò escludendo perentoriamente che possa considerarsi arricchimento senza causa, da parte dell’ente presso il quale viene operata la ricongiunzione, la mancata restituzione dei contributi eccedenti i relativi oneri.
Recentemente, il Tribunale di Bari, con sentenza del 10 novembre 2016, n. 5443, ha confermato i principi sopra esposti dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, peraltro precisando anche l’impossibilità non solo del rimborso dei contributi eccedenti l’onere della ricongiunzione, bensì anche della compensazione degli importi eccedenti per conseguire una prestazione previdenziale (nella fattispecie concreta, il riscatto di alcuni anni). Infatti, la parziale compensazione non costituisce invero una restituzione materiale, ma di certo costituisce una restituzione “giuridica”, nel senso che comunque l’interessato beneficerebbe del rimborso versando una minore somma per i contributi utili ai fini del riscatto. Inoltre, il giudice di merito, facendo propri i principi più innanzi richiamati, ha stabilito che la restituzione dei contributi, quale istituto di natura eccezionale nell’ordinamento, non è consentita in nessun’altra ipotesi oltre quella prevista normativamente.
Peraltro, occorre rilevare che, oltre a costituire, il rimborso dei contributi, un privilegio non riconosciuto in alcuna gestione previdenziale di lavoratore subordinato o autonomo, l’istituto della ricongiunzione determina una situazione di intangibilità della complessiva posizione assicurativa del professionista, risultante dalla confluenza di contribuzione soggetta a regimi giuridici diversi, la maggior parte dei quali indisponibili ab origine.
Ed invero, non potendo la restituzione comprendere anche la contribuzione relativa ad un rapporto assicurativo cui tale istituto è estraneo – non essendo previsto nella disciplina previdenziale pubblica, regolante i contributi di provenienza – si configurerebbe una restituzione sui generis, ovvero priva di qualsivoglia fondamento normativo, con la logica conseguenza che non sussiste nemmeno, nella fattispecie astratta, un’ipotesi di indebito pagamento a cura dell’assicurato o di arricchimento senza causa a favore della Cassa previdenziale, anche perché in un sistema solidaristico, quale è quello previdenziale forense, non necessariamente al pagamento dei contributi debbono corrispondere prestazioni previdenziali. La Cassa Forense, infatti, è un ente previdenziale ispirato non al principio della mutualità, bensì al principio solidaristico (in tal senso anche Corte Cost. nn. 132 e 133/1984, n. 62/1977; Cass., n. 10458/98), principio che esclude ogni collegamento tra contributi versati e pensioni percepite. Pertanto, conforme al sistema solidaristico è la sussistenza di contributi versati a nome degli assicurati che non abbiano una specifica utilità previdenziale.
Avv. Marcello Bella - Dirigente dell'Ufficio Legale di Cassa Forense