Niente lista d’attesa per i casi in “codice rosso”

di Lorena Puccetti

Stampa la pagina
foto

Il 17 luglio il Senato ha definitivamente approvato il c.d. Codice rosso, che apporta modiche legislative in materia di reati di violenza domestica e di genere; di seguito i  principali profili di intervento.

Sul piano sostanziale sono introdotti quattro nuovi reati ovvero l’art. 583-quinquies  c.p. (Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso), l’art. 612-ter c.p. (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti), l’art. 558-bis c.p. (Costrizione o induzione al matrimonio) e l’art. 387-bis c.p. (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). 

Sono state quindi autonomamente codificate condotte le quali, con l’eccezione dell’art. 387-bis, che effettivamente colma un vuoto normativo, erano comunque perseguibili attraverso l’inquadramento in altre fattispecie. In particolare, l’art. 583-quinquies, rispetto alla circostanza aggravante delle lesioni di cui all’art. 583 c.p., relativa alla deformazione o allo sfregio permanente del viso, rappresenta un mero inasprimento sanzionatorio.

Quanto al c.d. revenge porn”, il provvedimento punisce ora espressamente le condotte di diffusione d'immagini intime che, in precedenza, potevano configurare una modalità del reato di diffamazione.

Va peraltro precisato che la legge n. 119/2013, sul contrasto della violenza di genere, aveva inserito, quale aggravante del reato di cui all’art. 612-bis, l’aver commesso il fatto attraverso strumenti informatici o telematici.

Pertanto, ove attuata in un contesto persecutorio, la condotta diffusiva in esame era sanzionata anche in base alla predetta fattispecie aggravata. In secondo luogo, il provvedimento aumenta le pene del citato art. 612-bis e, anche attraverso la rimodulazione delle circostanze aggravanti soprattutto a tutela dei minori, dei reati di maltrattamenti e violenza sessuale. Infine, la circostanza aggravante di cui all’art. 577 è estesa anche alle relazioni affettive già cessate. 

In buona sostanza, con riferimento all’incidenza sul codice penale, la nuova legge costituisce un provvedimento di aggravio del trattamento sanzionatorio. 

L’aspetto più discutibile del Codice rosso riguarda, invece, gli interventi sul codice di procedura penale sulla tempestività delle indagini. 

In primo luogo, in base alle modifiche apportate all’art. 347 c.p.p., va dato atto che i reati oggetto del provvedimento rientrano oggi fra quelli che impongono alla polizia giudiziaria l’immediata comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero anche in forma orale. Il novellato art. 370 c.p.p. stabilisce, invece, che per tutti i reati oggetto del provvedimento legislativo la polizia giudiziaria dovrà procedere senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero. Al riguardo, va precisato che la legge n. 119/2013 aveva già inserito tali reati nell’ambito dell’art. 132-bis disp. att. c.p.p., che dispone la priorità assoluta nella trattazione dei processi relativi a determinate tipologie di reati. 

Ne consegue che, o il nuovo art. 370, co. 2-bis c.p.p. intende rimarcare che per i reati ivi compresi la priorità assoluta deve scattare sin dalle indagini preliminari, quindi non solo al momento della formazione dei ruoli di udienza (ma la norma così intesa appare superflua, idonea al più a ratificare quanto  già avviene all’interno delle Procure), oppure si deve ritenere che per i reati del Codice rosso le indagini preliminari devono avere la precedenza anche rispetto alle altre figure delittuose elencate nell’art. 132-bis c.p.p.

Se è questa la “ratio” del provvedimento, è lecito dubitare dell'opportunità che procedimenti riguardanti a reati di maltrattamenti o di violenza sessuale, pur nella loro intrinseca gravità, debbano essere privilegiati rispetto a quelli riguardanti delitti di criminalità organizzata o di terrorismo, oppure sugli omicidi stradali o infortuni sul lavoro.

Infine, integrando l’art. 362 c.p.p., il Codice rosso dispone che, per i reati in esso contemplati tranne che in questo caso l’art. 612-ter c.p., il pubblico ministero deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato la denuncia entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela dei minori o della riservatezza delle indagini. 

Tale disposizione rischia seriamente di compromettere le indagini in corso giacchè, com'è noto a qualsiasi operatore della giustizia e alle forze dell’ordine, le vittime di violenza non sempre sono disponibili, senza prima aver ricevuto un adeguato sostegno, a riferire al pubblico ministero vicende drammatiche che spesso coinvolgono la famiglia. Tale ristretto termine, inoltre, mal si concilia con il co. 1-bis sempre dell’art. 362 c.p.p., in base al quale, per assumere informazioni da un minore, il pubblico ministero deve avvalersi dell’ausilio di un esperto. 

In definitiva il Codice rosso scarica sulle Procure, già alle prese con “imprescindibili” problemi pratici, l’emergenza riguardante i reati di violenza domestica; il tutto senza disporre alcuna dotazione finanziaria, nemmeno, come da tempo auspicato, a favore dei Centri antiviolenza. 

In conclusione può dirsi che l’unico principio ispiratore del Codice rosso sembra essere quello per il quale è meglio sanzionare che prevenire quando, in ogni caso ma in maniera ancor più evidente per i casi di violenza domestica e di genere, un Legislatore illuminato dovrebbe concentrare tutti i propri sforzi sul piano della prevenzione, generale e speciale.

Avv. Lorena Puccetti –Foro di Vicenza 

Altri in DIRITTO