MOLESTIA SESSUALE NEL METAVERSO

di Massimo Borgobello

Stampa la pagina
foto

Il Metaverso di Mark Zuckerberg si chiama Horizon Worlds: nella versione beta, però, si è verificato un fatto che ha determinato serie riflessioni sulle modalità operative con cui questo mondo parallelo potrà svilupparsi.

A fine novembre 2021, infatti, una utente ha denunciato di essere stata “palpeggiata” da un altro utente e di essere stata isolata e derisa dal resto dei soggetti “presenti” al fatto.

Il punto è che l’evento si è verificato in un contesto totalmente virtuale, in cui non c’è stato alcun fatto “materiale”: Horizon Worlds, infatti, funziona tramite un visore ed utilizzando un controller e il senso del tatto non è implementato.

La questione, ovviamente, non è stata presa alla leggera da Meta (la nuova società che ingloba, tra le altre, Facebook, Instagram e WhatsApp), che ha attivato una funzione della app denominata safe zone: in pratica, attorno all’utente che accede a questa funzione, si crea una “bolla” virtuale che impedisce agli altri utenti di interagire nel campo protetto.

Uno strumento utile per utilizzare la realtà virtuale in maggiore sicurezza e per consentire a Meta di scaricare ogni responsabilità legale per fatti di questo genere.

Nel contesto statunitense, il sexual harrassment online (ossia la violenza sessuale in rete) può essere inquadrata nel concetto di molestie sessuali che, come noto, nel nostro ordinamento, non esiste.

Per quanto in Italia la violenza sessuale richieda una materialità (è richiesto il compimento di “atti sessuali” ai sensi dell’articolo 609 bis del Codice penale), il sexual harrassment online sarà una delle sfide che il legislatore penale dovrà affrontare nel prossimo futuro.

Il 25 novembre 2021, infatti, il Grevio (Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), ha significativamente adottato la propria prima raccomandazione sulla dimensione digitale della violenza sulle donne, che sarà una delle sfide normative del futuro, se non, addirittura, del presente.

Ad oggi, comunque, il fatto avvenuto su Horizon Worlds il 26 novembre 2021 non integrerebbe il reato di violenza sessuale.

Per comprendere la questione è necessario fare un esempio.

Supponiamo che due cittadini italiani interagiscano su Horizon Worlds ed uno “palpeggi” l’altra nella app di realtà virtuale.

Il fatto, astrattamente, potrebbe essere giudicato dal giudice italiano: i principi di giurisdizione e competenza sarebbero analoghi a quelli ampiamente consolidati, ad esempio, in materia di diffamazione attraverso social network.

L’articolo 609 bis del Codice Penale, che punisce la violenza sessuale, richiede che il reo costringa la vittima, con violenza, minaccia o abuso di autorità, a subire atti sessuali.

Il concetto di atto sessuale è, per la giurisprudenza della Cassazione, abbastanza vago, ma c’è un minimo indefettibile: deve trattarsi di un fatto materiale.

Mancando totalmente la materialità dell’atto, il “palpeggiamento” che nella realtà concreta integrerebbe certamente violenza sessuale, non sarebbe punibile nella realtà virtuale.

Ad oggi, quindi, un’ipotesi come quella avvenuta su Horizon Worlds richiederebbe un intervento del legislatore penale, ossia quanto richiesto dal Grevio nel proprio report.

Non si può invece escludere che il fatto avvenuto sulla piattaforma di Meta integri altri reati.

Sarebbe, in particolare, ipotizzabile il delitto previsto dall’articolo 610 del Codice Penale, ossia la violenza privata.

Questa fattispecie penale punisce chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare o omettere qualcosa, con la pena della reclusione fino a quattro anni.

Sarebbe un capo d’imputazione forse azzardato, ma non del tutto privo di fondamento.


Altri in DIRITTO