MODELLI DI COMPLIANCE PER PREVENIRE IL RISCHIO D'INFILTRAZIONE MAFIOSA

di PIO GAUDIANO

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La compliance: Uno strumento di prevenzione e bonifica

Adeguati modelli di compliance per prevenire efficacemente il rischio d’infiltrazione mafiosa.

E’ questo uno degli strumenti che l’impresa è chiamata ad adottare per garantire la bonifica aziendale, quale manovra di self-cleaning utile ad ottenere la sospensione o la revoca del provvedimento interdittivo.

Del resto quello della criminalità organizzata è un tema complesso, che risente di forti implicazioni di carattere sociale, economico e, non da ultimo, istituzionale. Per comprendere il fenomeno nella sua interezza, dovremmo inevitabilmente guardare al passato, e per quanto non sia questa la sede per ripercorrere le origini storiche di tale fenomeno, è comunque possibile notare come, sin dapprincipio, le forme associative di stampo criminale abbiano avuto in comune lo scopo di affermare la propria egemonia non soltanto sugli affari illeciti (il traffico delle sostanze stupefacenti, il racket delle estorsioni, etc.), bensì anche, e soprattutto, su quelli leciti.

All’accumulazione della ricchezza mediante l’uso della violenza si è dunque affiancata una diversa forma di azione delle consorterie criminali, più subdola e perciò più difficile da contrastare, condotta attraverso la progressiva instaurazione di rapporti stabili con gli ambienti politici ed imprenditoriali.

Ciò ha imposto una rimeditazione, in chiave efficientistica, degli strumenti repressivi, che è stata realizzata non soltanto attraverso l’inasprimento della risposta sanzionatoria agli illeciti ma, soprattutto, mediante il potenziamento degli strumenti di prevenzione, con attribuzione di peculiari competenze all’Autorità di Pubblica Sicurezza.

Un ruolo decisivo in tale contesto è stato assunto dalle informazioni prefettizie funzionali alla lotta alla criminalità organizzata, già note alla giurisprudenza del Consiglio di Stato ben prima dell’entrata in vigore del Codice Antimafia ed in questo difatti trasfuse nella duplice forma della comunicazione antimafia e della interdittiva antimafia, tra loro previste come alternative, salvo l’accidentale riscontro, da parte della Prefettura all’esito delle verifiche funzionali al rilascio della comunicazione antimafia, di “tentativi di infiltrazione mafiosa” in danno dell’operatore economico, in presenza dei quali l’art. 89-bis consente, difatti, l’irrogazione omisso medio del provvedimento interdittivo.

La gravità degli effetti che derivano da quest’ultimo, procrastinabili solo in caso di non immediata sostituibilità dell’impresa risultata positiva all’informazione antimafia o di essenzialità del prodotto o servizio da essa erogato, risulta vieppiù amplificata nell’ipotesi di “interdittive a cascata”, in grado di colpire soggetti economici anche diversi da quello sottoposto a verifica e nondimeno ad esso avvinti da rapporti di tipo commerciale o associativo, tali da indiziare un rischio di permeabilità alle influenze criminali.

Il Modello 231: Un alleato per la legalità e la sicurezza

In tale prospettiva, un ruolo di rilievo è certamente svolto dal Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D. legisl. 231/2001, che, attraverso il tracciamento delle aree più sensibili al contagio infiltrativo e la predisposizione di adeguati protocolli operativi, può consentire all’impresa di prevenire - gestendolo - il rischio d’infiltrazione, alla stregua di un rischio aziendale.

Aperture in tal senso si rintracciano proprio nel Codice antimafia, che attribuisce alla compliance aziendale un ruolo proattivo per la continuità dell’ente sottoposto a verifica antimafia, e ciò sia prima dell’applicazione del provvedimento interdittivo, che durante la sua esecuzione.

Sotto il primo profilo ci si riferisce, segnatamente all’art.94-bis, norma introdotta dal Decreto Legge  6 novembre 2021, n. 152 recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”, convertito con modificazioni in Legge 29 dicembre 2021, n. 233, si prevede infatti che il Prefetto, ove ravvisi l’emersione del tentativo di infiltrazione mafiosa in “situazioni occasionali”, possa prescrivere all'impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l'osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle misure in essa enucleate, tra cui (ma non solo) un Modello 231 atto “a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale”.

Alla stregua di quanto già fatto in altri settori dell’ordinamento, il legislatore, su impulso degli obiettivi posti dal Pnrr, ha dunque inteso introdurre, anche nell’ambito della normativa antimafia, un inedito strumento di cooperazione partecipativa del privato con la Pubblica Autorità, da attuarsi in vista del rilascio dell’informazione prefettizia antimafia, a patto che non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ovvero ragioni di salvaguardia di procedimenti amministrativi o di attività processuali in corso, o ancora di altri accertamenti volti alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose.

Il presupposto affinché il Modello 231 possa assolvere tale funzione è tuttavia costituto dalla sua effettiva attuazione in seno all’azienda, mediante la predisposizione di protocolli operativi costruiti in chiave sufficientemente predittiva, tenuto conto della concreta realtà aziendale in cui sono destinati ad operare e con adeguati presidi di controllo, pena lo scadimento in quello che la dottrina anglosassone, con un’espressione ripresa anche dalla giurisprudenza di legittimità (peraltro proprio in materia di D. legisl. 231/2001), ha suggestivamente definito paper compliance, riferendosi al fenomeno di mero formalismo cartolare nella esaltazione di misure affatto inadatte a scongiurare il verificarsi dei rischi aziendali.

Compliance e interdittiva antimafia: Percorsi di self-cleaning e controllo giudiziario

Stessa cosa a dirsi per l’ipotesi in cui il Modello 231 debba assurgere a misura di self cleaning, che l’impresa può adottare, su base volontaria in conseguenza dell’applicazione del un provvedimento interdittivo antimafia, mediante la richiesta di controllo giudiziario ai sensi del co. 6 dell’art. 34-bis Cod. antimafia.

Va difatti notato come anche tale istituto, del pari a quello contemplato dall’art. 94-bis , presupponga la valenza solo occasionale del "contagio mafioso", valutata tuttavia in tal caso non dal Prefetto, “monte” del provvedimento applicativo, bensì “a valle” dello stesso, dall’autorità giudiziaria cui l’istanza va rivolta, previa impugnativa dinanzi al competente tribunale amministrativo regionale dell’interdittiva antimafia.

Nel caso di adozione del Modello 231 in funzione o in costanza di controllo giudiziario volontario, dunque quale manovra di bonifica aziendale, oltre che di prevenzione del rischio d’infiltrazione, occorre inoltre porre mente al fatto che le regole con esso dettate dovranno recepire le linee d’indirizzo provenienti dalla c.d. vigilanza prescrittiva dell’amministratore giudiziario, in vista di un più globale riallineamento alla legalità che tenga conto non soltanto, a posteriori, “di ciò che è stato”, ossia dei fattori che hanno costituito la concretizzazione del rischio aziendale (sub specie: pericolo d’infiltrazione mafiosa) che d’ora in avanti s’intenderà scongiurare, bensì anche di ulteriori profili organizzativi che potrebbero, un domani, dar luogo a nuovi rischi.

A tal fine, si rende doveroso prendere in esame il contesto di riferimento in cui l’impresa opera, da valutarsi non soltanto nella sua dimensione statica, ovverosia sussistente al momento dell’applicazione della misura interdittiva, bensì in chiave dinamica, avuto riguardo ai fattori che potrebbero incidere, pro futuro, sul percorso di risanamento aziendale.


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