MEDIAZIONE CONDOMINIALE: LE NOVITÀ DELLA RIFORMA

di Manuela Zanussi

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L’amministratore di condominio con la Riforma Cartabia ha molte più responsabilità e poteri di prima, ma deve convocare l’assemblea se in mediazione viene formulata una proposta o se viene raggiunta un’ipotesi di accordo.

L’amministratore a seguito della novella vanta infatti ex lege una nuova legittimazione a partecipare alla procedura di mediazione, sia come istante che come aderente. Con il novellato art. 5 ter inserito nel D.Lgs. 28/2010 non vi è più la necessità di indire di fretta l’assemblea e di ottenere delibere condominiali autorizzative, perché può farlo autonomamente.

Il nuovo articolo 5 ter del D.lgs. 28/2010 dispone: “L'amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi”. Di conseguenza l’art. 71 disp att. comma 4 quater è stato abrogato.

Non vi è più dunque la necessità di un intervento preventivo ed autorizzativo dell’assemblea condominiale rispetto alla partecipazione alla procedura di mediazione.

L’assemblea viene chiamata infatti a pronunciarsi solo in pochi residui casi, ed è in quel momento necessario che l’amministratore provveda alla convocazione della compagine condominiale.

Oggi le uniche due ipotesi in cui l’amministratore deve necessariamente ricorrere all’assemblea condominiale, che deve deliberare in merito entro un determinato termine, autorizzandolo o meno, sono quelle previste dall’art. 5 ter:

  1. quando il mediatore formuli alle parti una proposta conciliativa;
  2. quando è stata raggiunta un’ipotesi di accordo conciliativo e vi è un “verbale contenente l’accordo di conciliazione” da approvare.

Se la prima ipotesi appare di semplice e piana interpretazione, la seconda lo è meno.

L’art. 5 ter infatti prosegue stabilendo che “Il verbale contenente l'accordo di conciliazione … è sottoposto all'approvazione dell'assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell'accordo … con le maggioranze previste dall'articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.

Secondo la disposizione letterale della norma l’assemblea condominiale è tenuta a deliberare sul verbale contenente l’accordo di mediazione, e ciò entro un termine prestabilito. Qualora la delibera non giunga entro detto termine la conciliazione deve intendersi conclusa con mancato accordo.

Qualche mediatore più acuto ha osservato che dunque la riforma ha introdotto una nuova e gravosa legittimazione ex lege dell’amministratore con poteri di promuovere domanda di mediazione, aderirvi, nominare il legale per la procedura, salvo a dovere necessariamente ricorrere all’intervento deliberativo assembleare solo per ottenere una delibera autorizzativa (o di ratifica) a sottoscrivere l’accordo di mediazione.

I condomini vengono coinvolti nel corso della procedura di mediazione solo al fine di conferire all’amministratore il potere negoziale di accettare la proposta del mediatore o l’ipotesi di accordo abbozzato al tavolo davanti al mediatore.

Dunque, nonostante tale previsione consenta di dare maggiore velocità e impulso alle procedure di mediazione condominiale, spesso bloccate da difficoltà di convocazione o dal raggiungimento dei quorum necessari, sorgono rischi e crescenti responsabilità in capo agli amministratori condominiali, chiamati ad addossarsi il rischio di condurre una mediazione e finanche una trattativa negoziale senza convocare il consesso condominiale.

Appare invero tuttavia opportuno ricordare come – pur non essendo necessario- invero di fatto risulta comunque utile (e per la scrivente opportuno) che l’amministratore si munisca di delibere autorizzative, tanto per la partecipazione alla procedura, che per le scelte di prosecuzione oltre il primo incontro, tanto per la definizione della proposta conciliativa che per l’eventuale accettazione della proposta formulata.

 

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