MALPRACTICE MEDICA E IMPARZIALITA’ CONSULENTE TECNICO D'UFFICIO

di Francesco Carraro

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Nel campo della c.d. malpractice (o responsabilità professionale medica) uno degli aspetti più delicati è quello dell’ineludibile connotato di imparzialità da cui dovrebbero essere contrassegnati il profilo e la funzione dei consulenti tecnici di ufficio nominati dall’autorità giudiziaria.

Ciò vale, in ispecie, nella fase preliminare del rimedio costituito dalla cosiddetta ATP ante causam da promuoversi con ricorso ex art. 696 bis c.p.c. (divenuto un passaggio quasi obbligatorio per effetto delle prescrizioni introdotte dalla c.d. legge Gelli Bianco, nr. 24 del 2017).

Si potrebbe ben dire che, con riferimento alla figura del CTU, valga quanto evidenziato a suo tempo dalle SS.UU. della Cassazione a proposito dei magistrati: “L’esercizio della funzione giurisdizionale impone al giudice il dovere non soltanto di ‘essere’ imparziale, ma anche di ‘apparire’ tale” (Cass. Civ., Sez. Unite, sentenza 14 maggio 1998 n. 8906).

Il legislatore ha dimostrato di avere piena contezza dell’importanza del tema disciplinandolo con una noma ad hoc contenuta nella succitata disposizione normativa del 2017.

L’art. 15 della legge Gelli-Bianco, infatti, così prescrive:

Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento)”.

Ora, è inequivocabile, in base al tenore della norma (cfr. parte sopra evidenziata in corsivetto), che è l’autorità giudiziaria (e non la difesa tecnica delle parti coinvolte) a dovere “aver cura” che i CTU nominati non siano in conflitto di interessi.

Il che risponde perfettamente alle finalità di “buon governo” del procedimento di accertamento medico-legale affidato alla supervisione del magistrato.

Proprio per la delicatezza del compito “af-fida-to” (dal Giudice) al CTU, e proprio perché il pre-requisito essenziale di tale “af-fida-mento” è la fiducia, è al primo di tali soggetti (il Giudice, appunto) che spetta l’onere di -prodromicamente- vagliare la sussistenza in capo al secondo (il CTU) di una “postura” inattaccabile (sul piano professionale, se non addirittura deontologico) che lo ponga al di sopra di ogni sospetto di faziosità: in grado, cioè, di salvaguardare una cristallina e incontestabile equidistanza tra le parti del processo.

In proposito, in una raccomandazione della VII Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura del 25.10.2017 si rimarca l’importanza di “preservare” la dimensione della imparzialità in subjecta materia:

“Se in linea generale la nomina dell'ausiliario deve avvenire nell'ambito dell'albo istituito presso il Tribunale di appartenenza (così artt. 221 e 359 c.p.p. e art. 61 c.p.c.), non mancano ipotesi in cui sorge per l'autorità giudiziaria l'esigenza di nominare consulenti o periti non iscritti al proprio albo di appartenenza. Questo tanto più in una materia quale la responsabilità sanitaria in cui, stante il rilievo della specialistica, soventi sono i casi di incompatibilità. Inoltre, proprio in considerazione della particolarità della materia, talora vi è la necessità di nominare ausiliari fuori distretto, al fine di assicurare, oltre che un adeguato livello qualitativo dell'accertamento, che questo sia in quanto più possibile imparziale. In tali casi i codici dei riti prevedono che la nomina deve essere adeguatamente motivata (artt. 67 dis att c.p.p e 22 dis. att c.p.c.)”.

A questo punto, è legittimo chiedersi: una parte processuale è tenuta a informarsi dell’esistenza di eventuali ragioni di incompatibilità per conflitto di interessi (effettivo o potenziale) in capo a un consulente tecnico medico-legale d’ufficio incaricato dal Giudice?

A ben vedere, a tale domanda va data una risposta negativa.

Non può di certo esigersi che le parti del processo si improvvisino, di volta in volta, “investigatori” sulle tracce del curriculum e dei precedenti intercorsi professionali del CTU, nel lasso di tempo che va dalla designazione al conferimento dell’incarico (con correlato giuramento).

Non solo una simile attività non è prescritta da alcuna norma del codice di procedura civile, non solo non viene di prassi (ovviamente) svolta da nessuna parte processuale (in nessun processo), ma essa costituirebbe, laddove intrapresa, una manifesta carenza di considerazione e fiducia (sfociante addirittura in una patente mancanza di rispetto) sia nei confronti del CTU sia nei confronti del giudice che quel CTU ha nominato.

Non foss’altro perchè deve sempre presumersi, fino a prova contraria, la imparzialità dell’uno (nel conferimento dell’incarico) e dell’altro (nell’accettazione dello stesso).

Ma se ciò vale per la parte, altrettanto non può dirsi per il Giudice per quanto sopra evidenziato: quest’ultimo, in base al già citato art. 15 della “Gelli-Bianco”, ha il dovere di sincerarsi “che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento”.

Ad ogni buon conto -a prescindere dalle improponibili, e francamente inammissibili, investigazioni “propedeutiche” al giuramento- può ben accadere che una parte possa aliunde apprendere di una circostanza atta a vulnerare l’alone di imparzialità (data sempre per scontata e per presupposta) di un CTU.

A questo punto, si profilano due scenari: o l’informazione giunge all’attenzione della parte prima dell’udienza (fissata per la nomina e il giuramento del consulente) oppure giunge dopo.

Nel primo caso, la parte ha l’onere di ricusare il CTU entro il termine perentorio di tre giorni prima del conferimento dell’incarico ex art. 192 c.p.c.

Nel secondo caso, invece, alla parte resta solo la possibilità di “appellarsi” al Giudice ex art. 196 c.p.c., adducendo gravi motivi idonei a giustificare un “atto di imperio” del magistrato.

La Cassazione (Cass. civ. sez. lav., 17/02/2004, n. 3105) insegna, a tal proposito:

“In caso di inutile decorso del termine fissato dall'art. 192 c.p.c. per la proposizione della istanza di ricusazione del c.t.u., la valutazione delle ragioni che giustificano un provvedimento di sostituzione dello stesso c.t.u., a norma dell'art. 196 del codice di rito, è rimessa esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente e logicamente motivata”.

Ebbene, i "gravi motivi", potrebbero senz’altro essere integrati dalla fondatezza delle notizie (sulla incompatibilità del consulente) apprese dalla parte. Essi potrebbero, altresì, giustificare una convocazione del CTU medesimo, davanti al Giudice e in contraddittorio con tutte le parti della causa, onde consentirgli di prendere posizione rispetto alla sollevata obiezione di sospetta parzialità.

Ciò consentirebbe di appurare la sussistenza (o meno) delle ragioni idonee a giustificare la revoca dell’incarico e la designazione di un nuovo consulente medico-legale, in sostituzione del precedente, da parte del giudice.

Di certo, quest’ultimo non potrebbe, in casi consimili, opporre alla parte una eventuale decadenza ai sensi e per gli effetti del succitato art. 192 c.p.c. per non aver provveduto alla ricusazione nei termini di cui alla prefata norma.

Infatti, è proprio il Giudice che, in base alla legge Gelli-Bianco, è tenuto ad “aver cura” di accertare l’assenza di conflitto di interessi in capo al designato CTU (ex art. 15) prima di nominarlo. Con la conseguenza che, da un lato, della validità di una eventuale CTU comunque espletata da un consulente d’ufficio il cui conflitto è “affiorato” solo dopo il giuramento, sarebbe più che lecito dubitare; dall’altro, il Giudice dovrebbe, in tal caso e senza por tempo in mezzo, revocare la nomina anche dopo l’avvenuto giuramento.

Si badi bene: quando si discorre di ragioni di “incompatibilità” non ci si riferisce ovviamente alle (né si deve aver riguardo per le) competenze acquisite o abilità tecnico-scientifiche o eccellenze accademiche di un professionista; né il giudice deve guardare (per determinarsi nel senso di interrompere, o addirittura rinnovare, una CTU) alla scorrevolezza stilistica o al pregio logico delle argomentazioni di un elaborato peritale eventualmente già depositato.

Il magistrato potrà solo, ed esclusivamente, ponderare la veridicità del motivo di protestata incompatibilità. Rectius: non solo “potrà” farlo, ma “dovrà” farlo giusta quanto anzidetto.

Concludendo, alla luce di tutti i rilievi di cui sopra, non vi è dubbio che il potere del giudicante di cui all’art. 192 c.p.c., vieppiù “legibus” sic stantibus (e cioè dopo l’entrata in vigore della legge nr. 24 del 2017), debba essere esercitato con massimo scrupolo -e probabilmente con incrementata sollecitudine rispetto a quanto già non avvenisse in precedenza- dall’autorità giudiziaria competente.


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