LA RIFORMA DEL LAVORO SPORTIVO

di Biancamaria Stivanello

Stampa la pagina
foto

A quarant’anni dalla L. 91/81 sul rapporto di lavoro nello sport professionistico, il D. Lgs. n. 36/2021 -che si colloca all’interno della riforma dello sport in attuazione della L. 8.8.2019 n. 86- disciplina in maniera unitaria la figura del lavoratore sportivo, secondo una nozione di professionismo sostanziale che supera la tradizionale distinzione tra settore professionistico e dilettantistico. 

Viene dunque colmata quell’anomia che ha caratterizzato lo sportivo dilettante, definito per esclusione e privo di una disciplina sostanziale per l’inquadramento sotto il profilo lavoristico. 

Nel quadro vigente, infatti, le regole sulle attività dilettantistiche svolte a titolo oneroso sono contenute principalmente in norme tributarie e in primis nell’art. 67 comma 1 lett. m) T.U.I.R. che qualifica come redditi diversi -ovvero, sulla base dell’incipit, come redditi

non conseguiti nell’esercizio di arti e professioni né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente”- “le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni Sportive Nazionali, dall’Unire, dagli Enti di Promozione Sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto”.

L’estensione progressiva del campo di applicazione di tale esonero contributivo ha portato all’inevitabile conseguenza di attrarre anche quelle situazioni che per durata, complessità, caratteristiche del prestatore e ammontare del compenso, potrebbero configurare a tutti gli effetti una prestazione lavorativa propria di un rapporto sinallagmatico privo di (o comunque prevalente su) quella connotazione associativa, ludica o amatoriale che può invece trovare giustificazione in un rapporto di comunione di scopo. 

Peraltro, sul fronte degli atleti, l’equivoco della dimensione ludica dello sport è stato alimentato anche dalle norme federali, che spesso escludono la possibilità di instaurare rapporti di lavoro nel settore dilettantistico, con stridente paradosso quanto meno in relazione alle figure di vertice nelle discipline di rilevante impatto economico sociale: i c.d. professionisti di fatto che, nonostante il principio ormai consolidato in ambito comunitario a partire dalla famosissima sentenza Bosman (Corte di Giustizia 15.12.1995 causa C-415/93), spesso non sono stati riconosciuti come lavoratori e, in ogni caso, non hanno potuto beneficiare dell’applicazione analogica della L. 91/81 in quanto lex specialis.

In tale contesto normativo, la giurisprudenza -chiamata a pronunciarsi soprattutto sulle prestazioni di istruttori e tecnici che a partire dal D.M. 15 marzo 2005 vengono inseriti nelle categorie da iscrivere obbligatoriamente all’Enpals [ora INPS gestione ex Pals] indipendentemente dalla natura autonoma o subordinata del rapporto- ha svolto un ruolo di supplenza del Legislatore con orientamenti ondivaghi che da una parte interpretano rigorosamente la portata dell’incipit dell’art.67 T.U.I.R. circoscrivendo l’esonero contributivo alla dimensione ludica (ex multis  App. Roma 2924/2018 e più di recente Cass. Sez.Lavoro,12.6.2020 n. 11375) e dall’altro, secondo una lettura più evolutiva della disposizione di cui al comma 1 lett. m), vi individuano una presunzione di dilettantismo e in definitiva un’area lavorativa speciale che gode di un regime differenziato e di un trattamento privilegiato considerata la peculiarità del settore e l’importante funzione sociale (App. Firenze, 683/2014; App. Milano 1206/2017;  App. Bologna, 250/2016; App. Venezia, 152/2019; App. Milano, 70/2019 e altre).

La riforma, dunque, nel definire come lavoratore sportivo, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, colui che esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo sembra superare il vulnus che ha caratterizzato il settore e rappresenta indubbiamente sotto questo profilo una svolta epocale.

Tuttavia, le scelte operate non sembrano recepire in maniera compiuta i principi della legge di delegazione che, oltre alla tutela del lavoro, intende garantire stabilità e sostenibilità al movimento sportivo, riconoscendone la sua specificità e la sua funzione sociale.

La mancata tipizzazione del rapporto di lavoro; l’estensione indifferenziata della disciplina del lavoro subordinato recepito dalla L.91/81 e applicato a tutti i settori e a tutti i livelli, con i conseguenti oneri previdenziali, difficilmente sostenibili per il settore dilettantistico che deve obbligatoriamente operare in un contesto non lucrativo; l’abrogazione delle collaborazioni coordinate e continuative etero organizzate in ambito sportivo dilettantistico [art.2 co.2 lett. d) D.Lgs. n. 81/2015]; il labile confine delle nuove prestazioni volontaristiche amatoriali che seppure ridimensionano l’ambito di applicazione dell’art. 67 co.1 lett. m) T.U.I.R. saranno prevedibilmente foriere di contenzioso previdenziale, rappresentano solo alcuni dei maggiori aspetti di criticità di una riforma che non sembra aver pienamente centrato gli obiettivi. 

L’auspicio è dunque che l’entrata in vigore differita  -disposta da ultimo, con la conversione in legge del D.L. n. 41/2021, al 31 dicembre 2023- possa consentire l’adozione di opportuni adeguamenti e correttivi.

Avv. Biancamaria Stivanello – Foro di Padova


Altri in DIRITTO