La libertà di circolazione ai tempi del Coronavirus

di Domenico Zaffina

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Il diffondersi nel territorio italiano del rischio di contagio da c.d. “Coronavirus” ha indotto il Governo ad assumere una serie di iniziative urgenti e straordinarie finalizzate a contenere la diffusione dell’epidemia.

Com’è nota, il Governo ha dapprima reso oggetto di tali provvedimenti delle aree più circoscritte (cfr. DPCM 08.03.2020) per poi dovere estendere le misure straordinarie a tutto il territorio nazionale (DPCM 09.03.2020).

Tra le varie misure adottate (sospensione di manifestazioni, eventi, competizioni, etc.) merita un'analisi a parte quella che limita la circolazione delle persone, in via assoluta (per coloro i quali sono risultati positivi ai test sul contagio e/o sono già collocati in quarantena) ovvero in via parziale (per coloro i quali che -non contagiati e/o non collocati in quarantena- potranno circolare ove gli spostamenti risultino “motivati da esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute da attestare mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia”).

La materia è evidentemente delicata se solo si considera che vengono in rilievo e contrasto diritti ed esigenze riconosciuti e tutelati dalla Costituzione ed anche da altre Fonti del Diritto, primi fra tutti quelli della libertà personale nelle sue varie declinazioni in forma individuale ed associativa e del diritto alla salute, alla sicurezza pubblica ed all'ordine pubblico.

Quali che possano essere le pulsioni -anche le più irrazionali- che potrebbero indurre all'adozione di provvedimenti di natura estrema l’Italia rimane uno Stato di Diritto ed un Paese fondamentalmente Democratico e Liberale, di tal che, dovendosi comunque rispondere alla finalità coercitiva di talune misure, sono state individuate nell'apparato normativo esistente delle figure di reato utili a sanzionare le condotte di coloro che sciaguratamente dovessero violare le summenzionate disposizioni.

Assumono così rilievo delle disposizioni che, in assenza delle particolari condizioni attualmente in corso, verserebbero in uno stato di desuetudine; si tratta dell’art. 650 c.p. (“Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206) e dell’art. 452 c.p. (“[1] Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:

1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;

2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo;

3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l'articolo 439 stabilisce la pena della reclusione. 

[2] Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto”), dove la disposizione di cui all’art. 650 c.p. è destinata ad applicarsi alle violazioni meno offensive mentre la disposizione di cui all’art. 452 c.p. ha una operatività residuale e di chiusura siccome riservata alle violazioni più gravi.

Va da sé che, al di là delle limitazioni disposte e delle relative sanzioni, ciascun soggetto è chiamato ad assumere ogni necessario atteggiamento di prudenza, accortezza e responsabilità per evitare che il rischio epidemiologico si propaghi ulteriormente ed anzi per favorirne il contenimento e la regressione fino alla completa eradicazione.

L’auspicio è quello di riuscire a contenere quanto più possibile le conseguenze pregiudizievoli e di superare nel più breve tempo lo stato emergenziale.

Avv. Domenico Zaffina - Pres.sez. Aiga di Lamezia Terme


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