La Cassa non rientra nell'elenco Istat delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato

di Marcello Bella

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Tale sentenza e la precedente pronuncia dello stesso TAR Lazio, Sez. III Quater, in data 3.3.2008, n. 1938, relativa sempre alla problematica dell’inclusione degli Enti Previdenziali nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, hanno per oggetto norme diverse, seguono ragionamenti in parte differenti, ma giungono alle medesime conclusioni, ovvero che la Cassa Forense, unitamente agli altri enti previdenziali privatizzati aderenti all’AdEPP, non debbono essere ricompresi in detto elenco.
Prima di esaminare i punti salienti dei ragionamenti sviluppati dal TAR Lazio nelle sentenze sopra richiamate, si ritiene opportuno evidenziare che l’inclusione nell’elenco Istat comporta conseguenze di rilevante entità in quanto determina per gli enti ivi individuati l’assoggettamento alle norme per il controllo della spesa pubblica e quindi una limitazione della loro autonomia gestionale e finanziaria, peraltro condizionandone in maniera pesante l’operatività amministrativa.
Passando alla disamina delle sentenze emesse dal Tar Lazio, si osserva che la sentenza del 2008 concerne l’impugnazione dell’elenco predisposto dall’Istat ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge n. 311/2004, nella parte in cui limita l’aumento della spesa complessiva ammissibile al 2% massimo, rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate dell’anno precedente, al fine di assicurare gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione Europea. La norma in questione, dopo avere indicato, tra le pubbliche amministrazioni, gli “enti nazionali di previdenza e assistenza”, ne ha rimesso all’Istat la puntuale individuazione.


In tale sentenza il TAR del Lazio afferma che l’inclusione degli enti previdenziali privati nell’elenco delle pubbliche amministrazioni cui è imposto un tetto di spesa si rivela illegittimo innanzitutto perché si deve avere riguardo alla configurazione giuridica sostanziale circa la natura degli enti anche alla luce delle finalità perseguite con la legge cui è stata data applicazione. Afferma infatti il TAR che con il decreto legislativo n. 509 del 1994, con il quale è stata disposta la trasformazione degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza in soggetti privati, è stata operata una trasformazione dei detti enti in soggetti privati sia da un punto di vista sostanziale che formale, evidenziando come, non solo è esclusa ogni possibilità di finanziamento pubblico diretto e indiretto, ma sono altresì previsti una serie di istituti che, al di là della funzione svolta, escludono la determinazione di un rapporto di interdipendenza tra i detti enti e lo Stato impedendo che i primi possano gravare sul bilancio pubblico (ad esempio costituzione della riserva da valere per la continuità dell’erogazione delle prestazioni, previsione dell’obbligo di pareggio di bilancio e nomina di un commissario straordinario nel caso di disavanzo). Evidenzia ancora il Collegio giudicante che, nella situazione attuale, in cui una larga parte del settore pubblico è stato attratto verso quello privato, la definizione di soggetto privato data dalla legge può non rivelarsi decisiva; tuttavia, nel caso di specie, l’obiettivo stesso perseguito dalla legge in discorso, che è quello di contenere la spesa pubblica, non potrebbe giustificare che soggetti qualificati come privati e organizzati come tali dal legislatore del 1994 e che non gravano in nessun modo sul bilancio pubblico vengano poi ricompresi nell’ambito di applicazione della legge stessa. Sulla base di tali argomentazioni il TAR fa discendere l’inconferenza del richiamo al Regolamento CE n. 2223 del 1996, il quale, tra l’altro, non obbliga gli Stati membri ad adeguarsi ai criteri della contabilità del SEC95 anche ai soli fini interni, ponendo l’obbligo con riferimento alla redazione dei bilanci complessivi da conferire in Europa onde rendere gli stessi confrontabili.


Lo stesso giudice, nella sentenza dell’11.1.2012, n. 224, partendo da un diverso, ancorché simile, presupposto normativo, l’art. 1, comma 3, della legge n. 196/2009, ha tuttavia operato una differente ricostruzione normativa. Partendo infatti dalla premessa che il Regolamento CE n. 2223 del 1996 fosse pertinente alla questione e che legittimamente la legge n. 196 del 2009 definisce il proprio ambito di riferimento con il richiamo agli enti ed agli altri soggetti individuati dall’Istat come “amministrazioni pubbliche” sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari (così come, peraltro, l’Istat, nella redazione e nell’aggiornamento del suo elenco, ha espressamente dichiarato di voler utilizzare le classificazioni e la metodologia del Sec95 cui il menzionato regolamento fa richiamo), il TAR ha tuttavia confermato l’illegittimità dell’inclusione degli enti che gestiscono forme di previdenza e assistenza privata tra i soggetti cui si rivolgono gli interventi legislativi volti al contenimento della spesa pubblica, proprio per la mancanza di quei requisiti sostanziali da cui le norme comunitarie ritengono di far discendere la natura di “unità istituzionale” dell’ente. In detta ultima decisione, infatti, il TAR Lazio, nell’evidenziare come la scelta del legislatore nazionale sia stata quella di recepire integralmente il sistema statistico europeo per l’individuazione dei soggetti la cui attività comporta un costo per la pubblica amministrazione che, pertanto, si riflette sul bilancio dello Stato, evidenzia che nel sistema europeo non rileva la natura privata o pubblica dell’organismo, ma viene fatto ricorso ad elementi concreti che consentano di individuare una diretta ingerenza dello Stato nella gestione dell’ente. Infatti, la sentenza del TAR rimarca la impossibilità di ritenere che gli enti in questione siano soggetti a “controllo pubblico” secondo la nozione comunitaria e non nazionale, in quanto la prima non attiene alla formalità degli atti di controllo, ma si sostanzia nel potere “di un’Amministrazione pubblica di “determinare la politica generale e i programmi” della singola unità istituzionale, cioè di stabilire in via autonoma gli obiettivi che essa è chiamata a raggiungere e le modalità che deve seguire per realizzarli, con atti che in effetti sono di amministrazione attiva”. Ma proprio detto tipo di controllo non può dirsi che si realizza per gli enti previdenziali privatizzati stante la loro completa autonomia contabile, organizzativa, gestionale e finanziaria e la impossibilità che, per il raggiungimento del pareggio di bilancio, pur obbligatorio per detti enti, possa conseguirne un onere finanziario per lo Stato. In altri termini, la “vigilanza” sull’attività degli enti in questione da parte del Ministero del Lavoro e degli altri Ministeri competenti è nozione del tutto diversa dal “controllo” richiesto dal normatore comunitario.

Marcello Bella

(con la collaborazione di Chiara Malpica)

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