L’ AUMENTO DEI PREZZI DELLE MATERIE PRIME

di Edoardo Ferraro

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Gli effetti sui contratti: possibili soluzioni per l’adeguamento.

Negli ultimi mesi si è palesata una problematica di natura eminentemente economica, che ha indubbi riflessi giuridici in ambito contrattuale, ovvero l’aumento dei prezzi delle materie prime.

Sia le associazioni di categoria (Paper di Confidustria del luglio 2021), che l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (rel. 56 del 2020) hanno rilevato la necessità di affrontare tale tematica.

Laddove si voglia intervenire per rimediare ad eventuali disequilibri nelle prestazioni corrispettive dovute all’aumento dei prezzi delle materie prime, si dovrà preliminarmente analizzare gli aumenti avvenuti e l’incidenza nei singoli contratti.

Verificato quanto sopra e analizzando, poi, le problematiche dal punto di vista delle norme, è indubbio che la l’aumento dei prezzi dei materiali sia una “sopravvenienza imprevedibile e straordinaria” atta a modificare l’assetto giuridico-economico formalizzato negli accordi contrattuali.

Quanto ad un riequilibrio di tale assetto, nessun problema ovviamente si porrebbe laddove nel contratto fosse prevista una clausola di adeguamento dei prezzi di carattere generale, in virtù di un aumento dei costi delle materie prime.

In ogni caso, peraltro, si può ritenere che sia la normativa vigente che gli approfondimenti “dottrinali” riportati supportino la possibilità di rinegoziare il contenuto del contratto.

Costo materie prime e rinegoziazione del contratto

In linea generale, la rinegoziazione del contratto a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime viene giustificata quale adattamento del contratto alle circostanze ed esigenze sopravvenute e imprevedibili (oltre che, naturalmente, non imputabili alle parti), ai sensi degli artt. 1374 e 1375 c.c., che statuiscono l’integrazione e l’esecuzione del contratto secondo buona fede.

Il Codice Civile, per il riequilibrio o la risoluzione del rapporto contrattuale reso diseconomico per una delle parti in ragioni di circostanze imprevedibili e straordinarie, prevede una specifica modalità per procedere che potrà articolarsi con una rinegoziazione che comporti la riduzione della controprestazione, versandosi in casi di impossibilità parziale della prestazione ex art. 1464 c.c., con eventuale recesso della controparte che perda interesse al contratto.

Sarà opportuno (ed è questo l’orientamento privilegiato dalla Cassazione nella propria relazione, che privilegia il principio di conservazione dei contratti di cui all’art. 1367 c.c.) attivare delle trattative formali per ridefinire le condizioni alteratesi.

Sempre in ambito generale, sussiste la possibilità di utilizzare l’istituto della risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti a prestazioni corrispettive, disciplinato dall’art. 1467 c.c.. 

Tale disposizione prevede che, divenuta una prestazione troppo onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguirla possa domandare la risoluzione del contratto. L’altra parte potrà scongiurare tale esito offrendo di modificare equamente le condizioni contrattuali.

Se poi si va ad analizzare nello specifico le fattispecie contrattuali, si rileva che per i contratti di appalti privati, è previsto esplicitamente un “ulteriore” diritto alla revisione dei prezzi per effetto di circostanze imprevedibili, laddove siano intervenute variazioni del costo dei “materiali” (eventualmente anche della “mano d’opera”), che hanno determinato un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto (art. 1664 c.c.). 

La revisione, in tal caso, potrà essere ottenuta limitatemene alla differenza che eccede il decimo del prezzo.

Se tali istituti sono applicabili sicuramente per i contratti in essere, per quel che riguarda i contratti futuri la predisposizione di apposite clausole di variazione dei prezzi delle prestazioni in caso di aumenti dei costi delle materie prime appare la soluzione più idonea al fine di evitare contestazioni


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